Incapacità di rispondere ai problemi dei ceti ?più poveri. Attaccamento ai propri privilegi. Ecco perché crescono i movimenti anti establishment
La concorrenza tra le varie forme di populismo in cerca di voti crea un vortice di parole incendiarie. Anche gli Stati Uniti ne sono preda. La solidarietà intorno ai propri simboli - in cui quella nazione eccelle - è stata travolta dopo il massacro degli innocenti di Orlando. Intolleranza omofoba, fanatismo religioso, violenza islamica, tensioni razziali: l’odio come segno distintivo del dibattito pubblico nella più grande democrazia del mondo. Impressionante. La violenza viene dal nulla, vuole il nulla, va verso il nulla, annota il filosofo Sergio Givone (pagina 36) riflettendo sulla strage gay.
Qualunque sia il risultato finale di Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca, la campagna elettorale americana 2016 lascerà un segno. Il seme populista, se può attecchire in America, può fruttificare ovunque. Contagiare il nostro futuro.
In Europa ci aspetta una sfilza di scadenze elettorali. A partire dal referendum britannico, giovedì 23 giugno, sulla permanenza o meno nell’Unione europea. Agli effetti sul sistema economico europeo di una eventuale vittoria della Brexit dedichiamo il servizio di Federica Bianchi (pagina 48) con punti di vista raccolti a Londra, Milano, Berlino, Parigi. Il premier britannico Cameron di certo non può essere iscritto nel club dei leader populisti, prigioniero tuttavia del risentimento diffuso nel suo paese: un referendum giocato sull’emotività e la disinformazione, secondo l’analisi di Ben Page, il maggior sondaggista inglese. Un voto - aggiunge - contro l’élite della City londinese, considerata la maggiore beneficiaria della permanenza nella Ue.
L’Europa alla fine paga le sue colpe. L’insofferenza verso la tecnocrazia che l’ha guidata in questi anni è la conseguenza della miopia politica mostrata dalle culture storiche del Novecento. Non hanno infatti saputo dare risposte adeguate ai ceti più deboli dei propri Paesi. Né sul fronte della crisi economica, né su quello dell’immigrazione e della sicurezza.
Toccava ai governi trovare soluzioni, sia che fossero di idee socialdemocratiche sia che fossero di ispirazione conservatrice. O meglio, le ricette adottate in questi anni - il rigore ferreo imposto dalla Germania - hanno prodotto scompensi sociali drammatici. Ma poiché in politica il vuoto di idee non è consentito, ecco il proliferare di quelle forze che per comodità di linguaggio classifichiamo populiste. Ciascuna, secondo le caratteristiche del proprio Paese, in grado di sbandierare soluzioni semplici (meglio, semplicistiche) di fronte alla complessità della realtà. Tuttavia se insieme alla scomparsa delle ideologie novecentesche declina la lotta di classe tra borghesia e proletariato, si inasprisce però una lotta di classe asimmetrica dei ricchi contro i poveri. E pullula una pluralità di conflitti e movimenti, annota il sociologo Domenico De Masi nel suo recente libro “Una semplice rivoluzione”.
Il demone populista non sia dunque interpretato come un retaggio del passato. È una proiezione verso il futuro, di quella che viene definita “democrazia senza popolo”, incentrata sulla figura del leader indiscusso e dalle mani libere che si presenta come un protettore della sua gente contro i privilegi dell’establishment. È ovviamente una finzione totale, un efficace eccesso retorico.
Tanto è vero che i più vicini a un possibile successo sono Trump negli Usa e Marine Le Pen in Francia: il primo un miliardario senza scrupoli, la seconda erede di una dinastia politica radicata nel potere.
E in Italia? Il populismo è alla prova del consenso a Roma e a Torino con le candidate del Movimento 5 Stelle. E ancora a Napoli dove De Magistris tenta il bis.
Ma lo stesso Renzi non è esente da ventate populiste. Per esempio quando presenta la riforma costituzionale del Senato come un vantaggioso taglio dei costi della politica: due senatori su tre andranno a casa, ripete in vista del referendum di ottobre. Ci ha dato lo spunto così per la copertina di questa settimana: “Casta per sempre”, la ricostruzione di Emiliano Fittipaldi documenta quanto siano resistenti i privilegi tra chi svolge incarichi pubblici. Benzina nel motore delle forze anti-sistema. Una ferita aperta nel corpo del nostro sistema democratico.
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