A Barcellona, il 5 luglio 1982, allo Stadio di Sarriá si è disputata la storica partita Italia-Brasile 3-2. Erano i Mondiali di Spagna e il Brasile fu eliminato. Si tratta di un’associazione di idee, nulla di più. Sarà perché siamo immersi negli Europei di calcio proprio mentre l’Europa sembra cadere a pezzi, o sarà per una notizia che parla di Brasile, di aborto illegale, del virus Zika e che riguarda, in ultima istanza, anche l’Italia.
In Brasile e in altri paesi dell’America Latina, da quando si è diffuso il virus Zika, le richieste di aborto sono aumentate vertiginosamente. Gli aborti non vengono praticati in ospedali pubblici tranne in rarissimi casi e le donne si rivolgono per lo più a siti web per acquistare pillole a base di mifepristone e misoprostolo che producono aborti farmacologici.
Il “Guardian” indica come sito di riferimento “Women on Web”, che ha una storia molto particolare. “Women on Web” era originariamente una barca ormeggiata a largo dei paesi in cui l’aborto era illegale; le donne, per abortire, dovevano arrivarci in gommone. Ora è un sito che offre consulenza medica online, indica dove poter acquistare le pillole o le spedisce direttamente: è il male minore perché chi non ha accesso al web si sottopone a interventi invasivi, in strutture clandestine. In confronto, l’aborto farmacologico appare quasi una passeggiata, ma il presupposto è che la donna che decidesse di praticarlo, sia a conoscenza del proprio stato di salute, sia incinta di non oltre 10 settimane e sia pronta a raggiungere un ospedale attrezzato in tempi brevi in caso di effetti collaterali. In Italia, per essere chiari, non è consentito fuori da strutture ospedaliere. Un’altra clausola di “Women on Web” è questa: nel paese di chi chiede il consulto, l’accesso all’aborto deve essere limitato. E qui ho pensato all’Italia e a una notizia di qualche giorno fa.
«A Trapani non è più garantito il diritto all’interruzione di gravidanza» questa è la dolorosa denuncia dei coordinamenti donne di Cgil e Uil cittadini. È andato in pensione l’unico medico non obiettore di coscienza dell’unico ospedale pubblico della città. Ogni anno sono circa 600 le donne che a Trapani fanno richiesta di interruzione volontaria di gravidanza, quasi 2 al giorno.
Inutile e fuorviante parlare di aborto come omicidio; non si abortisce per fare carriera, non si abortisce perché si ritiene che il momento non sia quello giusto per avere un figlio. Si abortisce invece perché troppo giovani, perché non si ha un lavoro, perché non si è in salute per portare a termine una gravidanza. Non si abortisce con leggerezza: è una strada sofferta, che si sceglie per necessità e non perché si è stati disinvolti nel sesso. Quello che vi diranno è «dovevano pensarci prima», «dovevano stare più attente». Non fatevi confondere: si può concepire anche quando si crede di aver preso precauzioni.
L’esortazione che ricevono in questi giorni le donne che a Trapani volessero interrompere la loro gravidanza è di andare all’ospedale pubblico più vicino che pratica aborti (Castelvetrano a 80 chilometri) o di rivolgersi a strutture private. Quello che accadrà, invece, come accade altrove, come accade in Brasile, è che aumentino gli aborti clandestini (inclusi quelli indotti da farmaci): un incubo che la legge 194 aveva provato a scongiurare.
È incredibile come, a quasi quarant’anni dal riconoscimento del diritto ad abortire, ancora non si sia riusciti a renderlo effettivo su tutto il territorio nazionale.
A chi la incalzi sullo stato della 194, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin (Ncd) minimizza; dice che i dati cui si fa riferimento sono superati e che fotografano una situazione che non è più attuale. Intanto è notizia recente (aprile 2016) che il Consiglio d’Europa abbia richiamato l’Italia per l’attitudine discriminatoria verso medici e infermieri non obiettori ed è altrettanto evidente che l’obiezione di coscienza raggiunge percentuali altissime e intollerabili al Sud: Molise (93,3%), Basilicata (90,2%), Sicilia (87,6%), Puglia (86,1%), Campania (81,8%). Se questi dati non allarmano il ministro, un pensiero forse banale suggerirebbe che possa avere in spregio le sorti di un Sud sempre più negletto e dimenticato e che il suo sia in fondo un atteggiamento discriminatorio.
Un’ultima cosa: lo Stadio di Sarriá, quello dell’impresa italiana sul Brasile, nel 1997 è stato demolito.