Il Tribunale di Milano boccia le richieste di risarcimento presentate dall'ex governatore: "l'Espresso" ha scritto la verità. E condanna il politico a pagare anche le spese

Il settimanale “l’Espresso”, il “Fatto Quotidiano” e la trasmissione “Agorà” della Rai non hanno mai diffamato l’ex presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, quando hanno raccontato le vicende che ruotano intorno al crac dell'ospedale privato San Raffaele di Milano e ai finanziamenti delle cliniche Maugeri, per le quali l’attuale senatore di Ncd è sotto processo penale. Lo ha stabilito il giudice della prima sezione civile del tribunale di Milano, cui si era rivolto l'ex governatore lombardo per chiedere un risarcimento danni dopo una serie di articoli da lui ritenuti diffamatori. Ma i giudici non hanno dato alcun riscontro alle sue tesi, condannando invece il leader ciellino anche al pagamento delle spese processuali.

La vicenda giudiziaria cui si fa riferimento, in sintesi, è quella relativa ai finanziamenti erogati dalla Regione Lombardia, durante il mandato di Formigoni, a favore delle fondazioni Maugeri di Pavia e San Raffaele di Milano. Finanziamenti che, secondo la tesi della procura di Milano, sarebbero stati erogati come illecito corrispettivo di regali, viaggi e benefit – per un importo complessivo di circa 8 milioni di euro - concessi a Formigoni da società estere controllate dagli imprenditori ciellini Pierangelo Daccò e Antonio Simone, che a loro volta avevano ricevuto fondi neri per circa 80 milioni di euro dagli stessi ospedali privati. La procura, con il pm Laura Pedio, ha chiesto nelle scorse settimane una condanna per Formigoni a nove anni di reclusione.

[[ge:espressoarticle:eol2:2180500:1.43042:article:https://espresso.repubblica.it/palazzo/2012/05/10/news/dignita-questa-sconosciuta-1.43042]]Nel 2012, quando la vicenda penale era esplosa in tutta la sua pienezza, la stampa aveva seguito la vicenda in modo approfondito, scatenando la reazione legale di Formigoni per alcuni articoli ritenuti lesivi del suo onore, uno dei quali intitolato “Signor politico lei è poco onorevole”, scritto da Denise Pardo per “l’Espresso”. Di questo articolo il politico ciellino contestava la «verità» e la cosiddetta «continenza», ovvero che la giornalista fosse andata troppo sopra le righe nella suo diritto di critica politica con toni definiti «macabri» e un accostamento alla soubrette Belen Rodriguez e alla cantante Lady Gaga, ritenuto diffamatorio. In altri casi veniva contestato di aver riportato atti d’indagine che erano ancora coperti dal segreto istruttorio. Rivelazioni che avrebbero nuociuto alla sua carriera politica, da quel momento in poi a suo dire ridimensionata.

Secondo il giudice, però la giornalista Pardo «ha rivolto la propria critica politica a fatti risultanti dal materiale delle indagini svolte nei confronti di Formigoni». Non solo: «l’esercizio del diritto di critica da parte della giornalista è dunque avvenuto nel pieno rispetto del requisito di verità». Per il giudice, quindi, «non si tratta di attacchi gratuiti all’onore e alla reputazione dell’attore» ma, anzi, «può ritenersi legittimo anche il ricorso ad un linguaggio tagliente e sarcastico come quello utilizzato».

Interessante anche la questione che riguarda la rivelazione di atti coperti da segreto d’indagine. La sentenza spiega che esiste sicuramente «una possibile limitazione al diritto di cronaca» per tutelare le «esigenze di segretezza processuale, intesa quale limite normativo preclusivo della conoscibilità di atti o fatti di un procedimento in corso», tutelato dall’articolo 684 del codice penale. Tuttavia, osserva il Tribunale di Milano, «nessuna pretesa risarcitoria può essere avanzata in dipendenza della sola violazione della norma ex art 684 (…) salvo che dal fatto non sia derivata la lesione di beni della persona autonomamente tutelabili in base ad altre norme dell’ordinamento». Insomma: un politico non può gridare alla fuga di notizie nel tentativo di censurare fatti veri e documentati da atti giudiziari.