Pubblichiamo l'estratto dal libro “I Complici” di Lirio Abbate e Peter Gomez in cui si descrivono i concitati attimi della cattura del boss di Cosa Nostra

Alle 10,40, sotto gli alberi, Renato Cortese riunisce i suoi uomini per un briefing operativo. Mette a punto il piano d’intervento. I ventisei poliziotti sono pronti. Tra le foglie bagnate da una leggera pioggerellina si scorgono brandelli di cielo grigio; i prati umidi sono di un verde lucentissimo. Tum, tum, tum: la tensione accelera il battito dei cuori, aggroviglia le budella, sale e stringe così forte da non far passare nemmeno la saliva. Il silenzio adesso è assoluto, quasi irreale.

In lontananza, su una collinetta, Giovanni Marino passeggia davanti alla masseria. Visto da qui, visto dagli alberi sembra quasi una vedetta. Dentro, Binu guarda la tv. Sul video scorrono le immagini dei politici in giacca e cravatta che commentano i risultati elettorali ancora non definitivi: l’Unione dice di aver vinto, la Casa delle Libertà spiega di non aver perso. Berlusconi per ora tace, durante la notte ha convocato a Palazzo Grazioli Beppe Pisanu, il ministro dell’Interno.

[[ge:espresso:attualita:1.277233:image:https://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.277233.1468411980!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/articolo_480/image.jpg]]Pisanu, incredibilmente, ha abbandonato il Viminale per incontrarlo di persona. Dicono che sia stato un faccia a faccia teso. Dicono che siano volate parole grosse. Dicono che abbiano discusso dello spoglio. Dicono che il premier, adirato, abbia parlato di quelle poche migliaia di voti che lo dividevano dalla vittoria, di quel niente che sarebbe bastato per rovesciare la partita.

Le voci che arrivano dal televisore rimbalzano sulle pareti di uno squallido stanzone dominato da un forte odore di ricotta misto a quello del caffè appena preparato. Il capo dei capi è seduto in un angolo, in jeans larghi e sdruciti. Su un fornello sporco c’è un pentolone incrostato dai resti della cicoria bollita. Sul tavolo, accanto alla macchina da scrivere Brother AX410 e a circa trecento pizzini, molti dei quali arrotolati, ci sono un rosario di legno e dei fogli di carta carbone.

Evidentemente tutte le sue lettere Provenzano, da buon ragioniere, le ha sempre scritte in duplice copia: una per il destinatario e una per sé. Un po’ perché la memoria, quando si parla di appalti e di percentuali, può giocare dei brutti scherzi e quindi, a distanza di anni, può essere necessario andare a rivedere come si è comportata in passato un’impresa o una cosca mafiosa. E un po’ perché la conoscenza è potere e lo schedario del Padrino vale più di mille pistole: è un archivio pieno di segreti, di nomi, di storie con cui è possibile ricattare una nazione.

Dove si trovi lo sa solo lui. Di certo non è lì. Non è nella masseria e non è nemmeno nell’ovile del suo pastore- guardiano dove tra i cestelli per la ricotta appoggiati a un tavolaccio, una lupara e alcune fotocopie di patenti, spuntano pure i facsimili dei manifestini elettorali del vicepresidente dell’Udc, Salvatore Cuffaro, candidato al Senato e quelli del sindaco di Corleone, Nicolò Nicolosi, in lista con il minuscolo movimento Patto per la Sicilia.

Tum, tum, tum: sotto gli alberi i segugi sono immobili, fermi, pietrificati. Ancora pioggia, ancora silenzio. Poi un rumore, anzi due: un fuoristrada bianco, seguito a poca distanza da un furgone, percorre via del Calvario a bassa velocità, imbocca lo sterrato, si dirige verso il casolare. All’improvviso il guidatore dà gas. Tutto di un botto.

Il motore ruggisce, i due veicoli sbucano come dal niente dietro la masseria. Cortese apre lo sportello quando l’auto è ancora in movimento. Giovanni Marino, il pastore guardiano, lo vede e fa per andargli incontro. Forse, pensa che sia qualcuno arrivato fin lì per comprare dei formaggi. Forse, non pensa niente. Non ne ha il tempo. È per terra già immobilizzato.

Tum, tum, tum, tum, tum: Cortese corre veloce verso la casa. Pistola in pugno rompe il vetro di una finestra, entra in un lampo assieme ad altri quattro ispettori, due di Roma e due di Palermo. Passano altri dieci secondi, ma da fuori non si sente trambusto. Alle 11,21, riecheggia solo un urlo: «Preso! Preso!». Ed è un urlo che squarcia la quiete, è un urlo che fa accapponare la pelle, mentre gli altri agenti circondano il casolare e lo mettono in sicurezza.

Bernardo Provenzano viene fatto di nuovo sedere. A guardarlo così rannicchiato su una sedia tutto solo, con un giubbotto di colore blu che gli casca addosso e il foulard bianco al collo per nascondere la cicatrice della vecchia operazione alla tiroide, sembra ancora più malconcio di quanto non pensassero gli investigatori. Quando, dopo pochi minuti, le trasmissioni vengono interrotte dalle edizioni straordinarie dei TG che danno la notizia del suo arresto, il Padrino prima di alzarsi si rivolge ai poliziotti e dice: «Non sapete quello che state facendo». Poi, a voce bassissima, aggiunge: «Sia fatta la volontà di Dio».

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