E' morto a 83 anni, in ospedale e Milano, il capo dei capi di Cosa Nostra. Era detenuto dal 2006. Prima dell'arresto aveva passato in latitanza 43 anni

È stato per 43 anni il capo più misterioso di Cosa nostra. Bernardo Provenzano, classe 1933, corleonese, detto ''zù Binu'', conosciuto anche come ''u tratturi' (il trattore), per la sua determinazione, è stato il boss che vantava il primato della più lunga latitanza nella storia della mafia. Il suo volto, scoperto la mattina dell'11 aprile 2006, ignoto persino ai ''soldati'' dell'esercito corleonese, è stato per decenni quello di un fantasma.

[[ge:rep-locali:espresso:285218973]]
Dopo la cattura di Totò Riina, il 15 gennaio 1993, è toccato a lui il compito di prendere in mano le redini di Cosa nostra, decimata dagli arresti, indebolita dalle ''cantate'' dei pentiti, impoverita dai sequestri di armi e di beni, e di tentare di rimettere in piedi l'organizzazione allo sbando.
[[ge:espressoarticle:eol2:2209715:1.57180:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2013/06/24/news/provenzano-a-telecamere-spente-1.57180]]
Lui solo, del resto, aveva il carisma per richiamare all'ordine il popolo degli uomini d'onore, cercando di ricompattarlo. E renderlo invisibile. Nell'ordinanza di rinvio a giudizio del primo maxi processo a Cosa nostra, i giudici di Palermo scrivevano che Provenzano «si è rivelato uno dei personaggi più sfuggenti ed inafferrabili, oltre che uno dei più feroci e sanguinari, di Cosa nostra». Gli inquirenti, durante gli ultimi anni, si sono convinti che si deve a "zù Binu" la contrattazione di un "patto di non belligeranza" tra le famiglie mafiose di Palermo e i clan corleonesi.
[[ge:rep-locali:espresso:285218974]]

LA SCALATA CRIMINALE

La sua scalata criminale comincia negli anni Cinquanta, quando Provenzano, insieme a Totò Riina e a Calogero Bagarella ( che rimarrà ucciso nella strage di via Lazio del '69) diventa il più fidato luogotenente di Luciano Liggio, allora capo incontrastato della mafia corleonese. L'approdo ai vertici di Cosa nostra avviene tra la fine degli anni Settanta ed i primi anni Ottanta: dopo aver infiltrato ogni cosca con uomini di stretta osservanza "corleonese", ed avere poi eliminato tutti gli avversari a colpi di kalashnikov, Provenzano e Riina sono ormai i capi assoluti di Cosa nostra. Il nome di Provenzano compare in decine di processi.

Analisi
Il figlio di Bernardo Provenzano star per turisti E quei rapporti difficili nella famiglia del boss
30/3/2015

Di lui hanno parlato tutti i pentiti di mafia fino agli anni Novanta, a partire dal boss di Riesi Giuseppe Di Cristina, dilungandosi sul complesso rapporto di amore-odio che lo ha legato per un quarto di secolo a Totò Riina.

Il boss Luciano Liggio, che tra i due aveva sempre privilegiato Riina, di Provenzano diceva: «Spara come un dio, peccato che abbia il cervello di una gallina». Interrogato dopo l'arresto, Riina ha smentito ogni legame con "Zù Binu": «So che Provenzano è un mio compaesano», ha detto. «Ma io non lo conosco». Insomma: né Liggio né Riina in dichiarazioni processuali hanno cercato di accreditare la "statura" mafiosa di Provenzano. Il pentito Totò Cancemi aveva sostenuto che Provenzano era il boss che «tiene in mano tutti gli appalti ed i rapporti con i politici».
[[ge:espresso:attualita:1.277224:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2016/07/13/news/mafia-ecco-come-fu-catturato-bernando-provenzano-1.277224]]
DALLA LATITANZA COMANDAVA CON I 'PIZZINI'

Il pentito Gioacchino Pennino, medico, ex consigliere comunale Dc, ex uomo d'onore di Brancaccio, ha spiegato che Provenzano ha sempre mantenuto un ruolo di assoluto primo piano all'interno di Cosa nostra. E che, se Riina è stato per anni capo militare dell' organizzazione, Provenzano rappresentava invece la "mente" politica, lo stratega in grado di gestire i rapporti con il complesso mondo della politica. Di Provenzano, durante la sua latitanza si diceva che fosse morto. E il boss stesso, nell'aprile del '94, per ribaltare queste notizie inviò una lettera al presidente della Corte d'assise di Palermo per nominare i propri avvocati di fiducia, in un processo per omicidio.

La lettera, ritenuta autentica, risultava spedita da un tale ''Catalano Serafino'', residente in via Albanese 18, un edificio a pochi passi dal carcere dell'Ucciardone. Un nome, ovviamente, di fantasia. Quando l'11 aprile 2006 venne arrestato dalla polizia di Stato, Provenzano era impegnato nel suo lavoro di capo di Cosa nostra, scrivendo ordini e disponendo strategie che venivano smistate in tutta la Sicilia attraverso "pizzini", piccoli biglietti scritti a macchina. Non si aspettava di essere arrestato.

Fino a quel momento, per 43 anni, era stato coperto, informato di eventuali blitz e favorito nella latitanza. Il boss è riuscito, sempre da ricercato, a farsi ricoverare e operare a Marsiglia in una clinica, e facendo pagare le spese mediche alla Regione siciliana, grazie ad un falso nome con il quale il boss si era presentato ai medici francesi. Negli ultimi mesi il vecchio padrino stava male. Era in pessime condizioni di salute. E oggi è morto accanto ai propri familiari che negli ultimi due giorni hanno avuto la possibilità di vederlo in clinica dove era stato ricoverato a Milano. Il boss porta con sé segreti e misteri che solo Riina potrebbe conoscere.

LEGGI ANCHE

L'edicola

25 aprile ora e sempre - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 18 aprile, è disponibile in edicola e in app