Blitz della Guardia di Finanza con 24 persone finite in manette. Al centro del groviglio di interessi tra imprenditoria e Palazzo il faccendiere Raffaele Pizza, fratello dell’ex sottosegretario Giuseppe, e Antonio Marotta, parlamentare alfaniano, ex membro del Csm

Il Labirinto è quello di un «sistema affaristico-criminale». E in questo caso il nome dell’operazione della Guardia di finanza calza a pennello: corruzione, riciclaggio delle mazzette, truffa ai danni dello Stato, appropriazione indebita e creazione di un’associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale.

All’alba è scattato il blitz degli uomini delle Fiamme Gialle con 24 persone arrestate (di cui 12 ai domiciliari), 50 indagati e nel corso dei controlli sono stati sequestrati beni e quote societarie per 1 milioni e duecentomila euro.

Tra gli indagati ci sono Raffaele Pizza, il fratello di Giuseppe, l’ex sottosegretario all’Istruzione, che rivendica la titolarità del simbolo originale della Democrazia Cristiana, partito di cui è segretario.

Sotto il simbolo dello scudo crociato anche un altro indagato, Antonio Marotta, eletto nel 2013 tra le fila del Popolo della Libertà in quota Dc e poi passato tra gli uomini di Angelino Alfano nel Nuovo Centrodestra.

Il 68enne Marotta è un avvocato penalista che grazie alla politica è arrivato nelle stanze del potere: nel 2002 è stato nominato componente del Consiglio superiore della magistratura dal Parlamento in seduta comune, con 589 voti in quota centrodestra capeggiato dall’Udc, ricoprendo vari incarichi.

Dopo tre anni, sempre grazie all’Udc di Casini, entra per la prima volta in Parlamento. Ora è indagato per traffico d’influenza illecita – ma i pm avevano chiesto senza successo al gip la misura cautelare per corruzione e associazione a deliquere – è accusato di aver aiutato nelle attività di illecita intermediazione lo stesso Pizza.

«È un equivoco - ha commentato a caldo Marotta - Io credo di essere al di fuori di tutto al cento per cento».


Il deputato Antonio Marotta

Nel labirinto di fatture false, vorticosi giri di denaro per oltre dieci milioni di euro (emesse per creare fondi neri e riserve occulte di denaro), ci sono anche controlli fiscali ammorbiditi e corsie preferenziali per agevolare le pratiche si sono immersi gli investigatori scoprendo operazioni sospette e fatturazioni false o sovraffaturazioni per aggirare il fisco messe in cantiere da un consulente tributario.

Dal professionista sono partiti per arrivare fino alla mente del gruppo Raffaele Pizza. Conoscere «qualcuno» a Roma, si sa, è determinante. E quel qualcuno nella zona grigia tra affari, politica e lobby è il faccendiere fratello del politico calabrese di lungo corso, Giuseppe, ex sottosegretario all’istruzione del governo Berlusconi, che ancora oggi rivendica il simbolo della Democrazia Cristiana.

Dopo anni di battaglie giudiziarie per tenersi il simbolo dell’ex balena bianca ridotta ad acciuga di voti, oggi è anche lui finito nell’inchiesta come indagato per riciclaggio.

Raffaele Pizza, adoperando i suoi legami stabili con il mondo della politica, rappresentava lo snodo cruciale degli affari con gli enti pubblici, svolgendo secondo gli investigatori «un'incessante e prezzolata opera di intermediazione tra i suoi interessi e quelli di imprenditori senza scrupolo» allo scopo di aggiudicarsi gare di forniture.

Molti dei contatti venivano portati avanti nello studio di Pizza in via Lucina, alle spalle del Parlamento, dove sarebbe avvenuto anche lo scambio di denaro in varie occasioni. A cento passi dal cuore delle istituzioni, la rete sarebbe riuscita a ottenere appalti per la fornitura di servizi e beni di diversi enti statali e anche di alcuni ministeri.

Commesse vinte grazie al pagamento di tangenti, smistate senza paura a destra e a manca.

E spesso realizzate con prestazioni e materiali di qualità inferiore a quanto previsto. Inoltre alcuni degli appartenenti all'associazione per delinquere si sarebbero occupati di fornire documentazione fittizia per creare i fondi neri destinati ad alimentare le tangenti.

IL CURRICULUM DEL FACCENDIERE

Pizza, con il nome in codice «Polifemo» non è nuovo alle cronache giudiziare.

Dieci anni fa è stato arrestato dal Pm Henry John Woodcock nell'ambito dell'inchiesta su una serie di truffe a imprenditori. In dieci ore di interrogatori, l'uomo ne aveva raccontate di tutti i colori. Che Ilaria Alpi era stata «vittima della sua superficialità al 100 per cento» ed era stata ammazzata dai somali perché «aveva scoperto il passaggio strategico di materiale importantissimo, piccolo ed occultabile», cioè uranio partito forse dalla Basilicata. Che «il Dc9 Itavia l'hanno abbattuto gli italiani» in una sera di guerra fra aerei libici, americani e italiani.

Che sulla scomparsa di Emanuela Orlandi «non c'è mai stata nessuna attività di indagine seria». E poi ore e ore di «rivelazioni » sulla massoneria, i servizi segreti, i signori della guerra somali... La parte più succosa, però, è la chiusura della notizia d'agenzia Ansa dell’epoca: «Nei due interrogatori, Pizza si definisce rappresentante del governo somalo, "agente provocatore", consulente storico, consulente, bibliografo, "scambiatore di notizie", analista, venditore di informazioni e anche "truffatore ma non musulmano", quando ricorda che è stato vicepresidente dell'Associazione musulmana italiana».

Prometteva una terra di nessuno dove ogni traffico era possibile, dalla droga ai rifiuti tossici. E grazie ai suoi contatti incassava tangenti milionarie per business mai conclusi. Sfruttando le sue entrature nel Corno d'Africa, vendeva abitualmente informazioni, cercando di infilarsi, secondo la ricostruzione dei magistrati, in un altro affare lucroso: il traffico d'armi.

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