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L’Eni si impose in Africa negli anni ’50, grazie a Enrico Mattei, sostenendone il processo di decolonizzazione. E oggi punta a consolidare la propria leadership per aumentare le vendite e recuperare utili. Nella parte settentrionale del continente, in Egitto, Libia, Tunisia e Algeria, e nell’area sub-sahariana, in Congo, Nigeria e Angola, fino al Monzambico, l’Eni è tra le società petrolifere che contano maggiormente: l’impresa che può fare da apripista agli scambi commerciali tra l’Italia e questi Paesi.
L’Africa ha idrocarburi in abbondanza, gas in particolare, che può servire all’Italia e all’Europa per aumentare la rosa dei fornitori; e per altro verso ha un enorme bisogno di prodotti petroliferi raffinati che ne accompagnino la crescita. Oggi, invece, in molti Paesi africani le risorse minerarie prendono la via delle esportazioni e sono controllate da élite corrotte.
Di questa espropriazione privata sono spesso conniventi le major occidentali interessate all’acquisizione di concessioni esplorative e di giacimenti: un sistema di sfruttamento a cui non si sarebbe sottratto nemmeno l’Eni, come dimostrano le inchieste ?in corso alla Procura di Milano per l’operato del gruppo in Algeria e Nigeria (dove l’amministratore delegato, Claudio Descalzi, è indagato con chi l’ha preceduto, Paolo Scaroni).
Ora l’Eni punta a creare intorno al ritrovamento di Zhor, scoperto nel mare al largo dell’Egitto, un hub del gas al centro del Mediterraneo: un sistema ?di produzione e di scambio che in prospettiva potrebbe essere connesso con Cipro e Israele, in grado di alimentare di metano l’Egitto, dove è prevista per il 2016 una crescita del Pil superiore al 4 per cento, e che potrebbe prendere la via dell’Italia in aggiunta ?ai quantitativi di gas che la società ?già importa da Algeria e Libia. Sponsorizzato dal premier Matteo Renzi, dal quale è stato imposto ?al vertice dell’Eni, Descalzi ha in mente ?un asse di rifornimenti Nord-Sud alternativo a quello Est-Ovest, attualmente in vigore tra Russia e Europa, e che risulti gradito, soprattutto dopo la crisi russo-ucraina, agli Usa.
L’Eni ha chiuso il 2015 con un pesante segno meno e nel Nordafrica è alle prese con la difficile situazione della Libia, dove il governo di accordo nazionale guidato da Fayez al-Serraj è ancora molto debole e dove Gran Bretagna e Francia sembrano propense alla frammentazione del Paese in più Stati. La nuova parola d’ordine di Descalzi è “dare il gas africano all’Africa”, a prezzi vantaggiosi, assecondando il continente nel suo sforzo di crescita e facendo sì che il suo metano esportato contribuisca anche alla sicurezza energetica dell’Europa.
È una nuova geopolitica che necessita ?di due condizioni essenziali. La prima ?è che il gruppo conquisti una leadership sui Paesi fornitori di petrolio dell’Africa. Descalzi gode in questo della copertura di Renzi, che considera l’Eni come uno straordinario veicolo di promozione del made in Italy. La seconda è che l’asse Nord-Sud non sia un progetto velleitario e che rappresenti un punto ?di riferimento effettivo per le grandi economie dell’Unione.
E qui il discorso si fa complicato. La Germania ha annunciato, infatti, il raddoppio del gasdotto Nord Stream (al 51 per cento della russa Gazprom, 15,5 a testa ?delle tedesche Ruhrgas e Wintershall, ?9 dell’olandese Gasunie e 9 di Gaz de France), che collega attraverso il Baltico la costa tedesca a quella russa, bypassando l’Ucraina ed escludendo dal proprio tragitto Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia.
Ma se lo scopo del primo Nord Stream era di mettere in sicurezza i rifornimenti di metano dalla Russia, lo scopo del Nord Stream 2 è di costituire nel cuore dell’Europa un hub che rafforzi il legame con Mosca ?e che trasformi la Germania nel più grande rivenditore di gas russo all’Unione europea e nel partner esclusivo di Gazprom.
Un progetto antagonista a quello Eni.«E non va nemmeno sottovalutato il problema del continuo incremento delle energie rinnovabili», segnala Alberto Clo, ?ex amministratore dell’Eni, «che riduce l’impiego del gas nella produzione termoelettrica».
Anche da questo punto di vista, un aumento dell’offerta in Europa con nuovo gas dalla Russia, a fronte di un decremento dei consumi, sarebbe privo di senso. Rafforzerebbe Putin, il che ha già messo in allarme il dipartimento di Stato americano, e contraddirebbe i buoni propositi europei sulla sicurezza energetica. Sarebbe contrario a qualsiasi progetto di casa comune dell’energia. Ma la Germania va per la propria strada, perseguendo un suo disegno egemonico sull’Europa. E Renzi è passato dal fare la voce grossa contro i tedeschi e dal chiudersi a riccio contro Putin, all’auspicare la partecipazione ?di aziende italiane al raddoppio dell’infrastruttura baltica.
Tra queste, la Saipem che, avendo posato ?i tubi del Nord Stream 1, ha tutte le caratteristiche per aggiudicarsi la gara per la nuova linea baltica nonostante abbia avviato contro i russi un arbitrato internazionale da 636 milioni di dollari per la mancata commessa del gasdotto South Stream, il cui progetto fu cancellato da Putin durante la crisi con Kiev.
Da parte sua l’Eni ha respinto ogni ipotesi di ingresso nell’azionariato del Nord Stream 2, ma la sua strada appare in salita a un anno dalla scadenza del primo mandato di Descalzi. Se Berlino riuscirà a imporre i suoi piani, i rifornimenti di metano viaggeranno sempre più lungo la rotta Est-Ovest. L’asse Nord-Sud potrebbe dunque rivelarsi una suggestiva illusione.
In Asia centrale, l’Eni gioca da circa quindici anni la partita per Kashagan, ?il ritrovamento supergigante ?di condensati e di gas nel Caspio. ?La compagnia ottenne il massimo ?del risultato nel 2001 (amministratore delegato Vittorio Mincato) con l’aggiudicazione del ruolo di operatore unico del giacimento. Poi, a partire ?dal 2005 (amministratore delegato Scaroni), la società ha cominciato ?a perdere terreno: errori di gestione, problemi tecnici di grande complessità; finché nel 2008 l’operatorship non è stata trasferita a un quadrumvirato di major formato, oltre che da Eni, da Exxon, Royal Dutch Shell e Total. Da quel momento il progetto di Kashagan sembra entrato nelle sabbie mobili. Solo entro la fine del 2016 dovrebbe entrare in produzione.