La campagna pro-fertilità della ministra si rivela un boomerang. Con slogan tipo "sbrigati, non aspettare la cicogna" e videogiochi con gli spermatozoi che corrono. Tra Ventennio e superficialità

“Medioevo”, “Ventennio”, “propaganda moralista”, “presa in giro”, “vergogna”, “demenza”. In un sol colpo ha fatto arrabbiare tutti: chi i figli ce li ha, chi li vorrebbe, chi non li può avere, chi ha scelto di no.

In quattro anni da ministra della Salute, Beatrice Lorenzin non era mai riuscita a catalizzare tanta attenzione. Ce l’ha fatta invece – e non si sa se sia peggio ipotizzare colpa o dolo - grazie al Fertility day, campagna informativa sulla fertilità che si celebrerà il 22 settembre. La ministra l’annunciava da un anno e mezzo, nessuno se la filava più del dovuto.
 
D’improvviso è invece divampato uno spettacolare effetto boomerang. Il Fertility day è diventato l’argomento del giorno: centinaia e centinaia di critiche sono rimbalzate, sui social network, twitter in testa. C’è chi della Lorenzin ha chiesto pure le dimissioni, prima che la rabbia cominciasse a far leva sull’ironia.
 
Colpa o merito, almeno in parte, della impostazione della campagna, che ha scelto di affrontare a colpi di roncola un tema delicatissimo, così da rendere l’insieme, scrive lo scrittore Roberto Saviano “un insulto per tutti”, “una presa in giro”. Come? A partire da slogan come il “prestigio della maternità”,  cartoline che definiscono la “fertilità un bene comune” (foto fuori tema, come l’affermazione: un rubinetto da cui scorre acqua), o chiariscono che “la bellezza non ha età, la fertilità sì” (foto da Settimo sigillo: una ragazza con una clessidra in mano),  o che “la fertilità maschile è molto più vulnerabile di quanto non sembri” (foto di particolare pregio: la buccia di una banana riversa sul marciapiede). Una via di mezzo tra echi mussoliniani e colpevolizzazione verso chi non si riproduce, con beato sorvolo di faccende tipo la mancanza di lavoro, accusano gli utenti su twitter.

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Così a metà pomeriggio, il sito del fertility day viene azzerato, segno evidente d’imbarazzo e tempesta. Resta solo l’home page, niente più cartoline, nient’altro. Sparisce pure il videogiochino (avevano inventato anche questo, definendolo “gioco dell’estate”): il fertility game, in cui si poteva scegliere di essere uno spermatozoo azzurro o un ciglioso ovulo rosa, per poi trovarsi a percorrere (anche con un certo imbarazzo) un simil canale cervicale cercando di schivare siringhe, alcol, junk food e malattie. Per imparare, si suppone, che son questi i comportamenti virtuosi per figliare. 
 
Ora, in verità il punto di partenza era tutt’altro. Cioè un tema dolente, e vero, come si sa: in Italia il tasso di natalità è il più basso d’Europa (1,3 figli per donna), l’età del primo figlio è sempre più avanzata (quasi 32 anni per le donne, contro i 29 di dieci anni fa),  il 20 per cento delle coppie ha problemi di fertilità e il ricorso alla procreazione assistita non è una panacea (negli ultimi anni si è alzata anche qui l’età media, ma non le probabilità di successo). 
 
“Sbrigati, non aspettare la cicogna”, risponde a tutto questo la Lorenzin, o chi per lei. Come se si trattasse di un problema informativo, e non semmai culturale e politico. Come se il punto fosse spiegare che la fertilità cala, e spiegarlo peraltro agli stessi italiani che sono fotografati in quelle statistiche. Cioè a chi i figli non riesce a farli, o non vuole, o non può. Insomma, un capolavoro di superficialità che si candida a restare come il punto più famoso del suo programma ministeriale.