Il 6 ottobre un colpo di spugna cancellerà i procedimenti ancora in corso sui crolli che causarono decine di morti. Ma si tratta di una interpretazione della legge che non tutti condividono. E adesso la Procura generale potrebbe contestarla

È affidata a un ricorso in Cassazione l’unica possibilità per impedire che un colpo di spugna cancelli i processi in corso sul terremoto dell'Aquila. Come ha riferito l'Espresso, il prossimo 6 ottobre la prescrizione estinguerà quanto resta delle inchieste approdate nelle aule di tribunale: le eventuali responsabilità di Guido Bertolaso nella "operazione mediatica" con cui la commissione Grandi rischi rassicurò gli abitanti, ma anche i filoni giudiziari relativi al crollo di un palazzo di via D’Annunzio (13 morti) e di due edifici in via Sturzo (29 morti).

La Procura generale ha però in mano una carta che potrebbe rivelarsi fondamentale per consentire alla giustizia di terminare il suo corso. Si tratta di una questione giuridica complessa, ma che merita di essere spiegata per le sue possibili implicazioni. L’accusa nei confronti dei vari imputati è di omicidio colposo plurimo, per il quale il codice penale prevede un raddoppio dei termini di prescrizione: 15 anni, nel caso in questione. In base a una sentenza della Cassazione del 2013, tuttavia, perché questa circostanza si realizzi è necessario che ci sia anche un'aggravante: la violazione delle norme stradali o della prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. In tutti gli altri casi, anche se a perdere la vita sono più persone, la "tagliola" scatta sempre dopo sette anni e mezzo.

Si tratta di una tesi che però non trova tutti concordi. "È una interpretazione che personalmente non condivido" ha detto ad esempio lo scorso gennaio, in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario, l'avvocato generale della Corte di Appello dell'Aquila Romolo Como. Ebbene nelle prossime settimane la Procura generale potrebbe passare dalle parole ai fatti: contestando il termine dei sette anni e mezzo tramite un ricorso in Cassazione contro le sentenze che dichiareranno prescritti i reati. Una impugnazione da giocare in punta di diritto che, con le dovute argomentazioni, potrebbe portare la Corte suprema a un ripensamento della dottrina, come già accaduto altre volte in passato.

"Non c’è ancora nulla di stabilito, perché è prematuro. In ogni caso si tratta di una valutazione che mi riservo di fare" conferma Como all’Espresso. Cosa cambierebbe? Se il ricorso venisse accolto, ci sarebbe tutto il tempo per celebrare nuovamente il processo d’appello a carico dell’ingegnere Fabrizio Cimino, imputato per il crollo della palazzina di via D’Annunzio: condannato a 3 anni in primo grado e a 22 mesi in secondo, a maggio la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza. Ma la decisione di adire la Corte suprema potrebbe imporsi anche per le modalità con cui sta andando avanti il procedimento nei confronti di Bertolaso: indagato nel 2012 sulla base dell'intercettazione in cui definiva la riunione della commissione Grandi rischi una mera "operazione mediatica" per "tranquillizzare la gente" e "zittire qualsiasi imbecille", il rinvio a giudizio dell'ex capo della Protezione civile è arrivato soltanto lo scorso ottobre, dopo due richieste di archiviazione respinte e l’avocazione del fascicolo da parte della Procura generale. Finora il processo è stato segnato da continui rinvii.

Del resto i rischi per Bertolaso non mancano: il suo vice di allora, Bernardo De Bernardinis, è stato condannato in via definitiva a due anni di reclusione per l’informazione "imprudente" e "scorretta" fornita agli aquilani in quell’occasione. Ai tempi della candidatura a sindaco di Roma l'ex numero uno della Protezione civile si è detto intenzionato a rinunciare alla prescrizione. Ma ogni volta che in udienza il giudice ha cercato di capire se fossero queste le intenzioni effettive, i suoi legali hanno sempre evitato accuratamente di sbilanciarsi.