Tra il malumore dei colonnelli di Forza Italia e i no di Salvini e Meloni, Parisi deve congelare i propositi di conquista. Mentre il partito si appende ancora a Berlusconi e alle cene ad Arcore

Giorgia Meloni lo dice così: «Le leadership non si calano dall’alto. Sono anni che il centrodestra paga questo errore». Matteo Salvini, da Pontida e poi a ogni microfono gli si ponga, ripete che la Lega è «pronta a fare da sola», e che il suo interlocutore non è certo Stefano Parisi ma semmai Silvio Berlusconi, che è ancora, fino a prova contraria, il leader di Forza Italia.

Renato Brunetta a 'Il Dubbio' dice che la convention di Parisi, il weekend milanese «sono stati due giorni di ascolto e di società civile», anche belli, ma che «di facce nuove non se ne sono viste. Tanta Milano bene, un po' di Cl, vecchi amici che hanno già militato in Forza Italia o nel centrodestra».

«Stefano ha fatto un discorso di buon senso», continua Brunetta, «ma la leadership del centrodestra c'è, ed è quella del presidente Berlusconi». C’è poi l’ex delfino Giovanni Toti, che da sempre è il ponte che tiene legata a Forza Italia la Lega di Salvini e che aggiunge il suo malumore parlando a 'L’Aria che tira', su La7: «Vedi Myrta», dice alla conduttrice, «il rinnovamento che ho visto in queste ore mi puzza un po’ di vecchio». «Leggo sui giornali tante ricette e consigli per tornare a vincere», continua Toti, forte del fatto che lui, a differenza di Parisi, ha vinto le amministrative e governa la Liguria: «Qui abbiamo già vinto, la Lombardia è saldamente governata dal centrodestra e Luca Zaia ha stravinto in Veneto. Mi sembra che la ricetta sia, francamente, squadernata: l’alleanza strategica con la Lega Nord e Fratelli d'Italia resta un'architrave».  

 

E così Berlusconi deve scomodarsi, sempre lui, chiamato in causa. Per far da scudo a Parisi e suggerirgli un profilo più accomodante, rimandando il tema della leadership. Berlusconi fa così arrivare agli alleati un messaggio che dovrebbe suonare rassicurante: «Qui il capo sono sempre io».

L’ha detto e dimostrato a Matteo Salvini invitandolo ad Arcore per una cena. Attovagliati con Licia Ronzulli e Nicolò Ghedini, Berlusconi e Salvini hanno immaginato un calendario di incontri, da allargare anche a Giorgia Meloni, dimostrando che i ruoli recitati fuori, per le telecamere, sono solo un pezzo della storia.

E che nel centrodestra è tutto un braccio di ferro fatto di dichiarazioni, ma comunque delicato. Quando Salvini dice che la Lega «non sarà più un partitino al servizio di Berlusconi», vuol soprattutto dire che la Lega non prenderà per buona ogni scelta dell’ottantenne leader, soprattutto sul volto che dovrà guidare le armate. Berlusconi l’ha capito ed è d'accordo. Non è affatto detto che sarà Parisi, dunque, il volto, anche se lui in realtà ci tiene, e prova a dimostrarsi più radicale del solito, chiarendo ad esempio - ed è un punto su cui Salvini l’ha stuzzicato per mesi - che il suo no al referendum costituzionale «è nettissimo». «Un no a una brutta riforma», ha detto ai microfoni di RaiNews24, «che porterebbe solo confusione a una governance già in crisi».

Parisi dice di più e si prepara così a svolgere una missione un po’ diversa, rimodulata come richiesto da Berlusconi. Per ora deve concentrarsi sul suo pubblico più congeniale. E a farsi accettare da Brunetta, Salvini e Toti, ci si potrà sempre pensare dopo. Ora serve un programma e un luogo per traghettare forze nuove (e elettori vecchi, magari più moderati, allontanati dalla deriva salviniana) nel centrodestra. E se Parisi assicura: «Non voglio fare e non faccio un nuovo partito perché nel centrodestra non ce ne è bisogno».

Promette invece un programma: «Ci sono molte città che ci chiedono di riprodurre a livello locale la stessa conferenza che abbiamo fatto a Milano», spiega, «è un lavoro che durerà alcuni mesi e si concluderà tra febbraio e marzo con la presentazione di un programma di governo». Un programma «che sarà un contributo al centrodestra», dice conciliante, perché «è naturale che dentro una coalizione ci siano posizioni radicali e posizione più moderate». «Poi sta a come si armonizzano», ovviamente. Che poi vuol dire: «sta a chi le deve armonizzare». Ed ecco che si riapre il tema della leadership, con l’ala destra che continua a chiedere le primarie. «Sono i cittadini a decidere in chi riporre la propria fiducia», dice Giorgia Meloni, «se a qualcuno non piace il metodo delle primarie, ci proponga un altro metodo». Messaggio arrivato: «Le primarie così come sono in Italia sono una cosa ridicola», risponde Parisi, «ma certo non ci si autoproclama leader, e ci sarà un momento in cui questa scelta dovrà essere fatta».