Da due mesi gli ultimi anticoncezionali orali che ancora erano a carico del Servizio Sanitario nazionale sono stati riclassificati in fascia C. Una decisione che rischia di danneggiare la fascia più debole della popolazione. Le ginecologhe di No grazie pago io: «l'unica 'pratica anticoncezionale’ rimborsata dal servizio sanitario nazionale è l’aborto»

Lo Stato che promuove le campagne del Fertility Day non paga la contraccezione. Forse è una coincidenza casuale, ma sono stati in molti a pensarlo, scoprendo che da due mesi le ultime pillole anticoncezionali che si trovavano in fascia A - e quindi a carico del Servizio Sanitario nazionale - sono state riclassificate in fascia C e quindi a carico del cittadino. Col risultato che oggi le donne che vogliono fare uso di un contraccettivo orale - così come di qualunque altra forma di contraccettivo - devono pagarlo di tasca propria.  
Sono stati i medici di No grazie pago io, un’associazione che si batte per l’indipendenza della professione medica  dall’industria farmaceutica, a scovare  sulla Gazzetta Ufficiale del 27 luglio scorso l’elenco delle pillole passate in fascia C: Triminulet, Planum, Ginodem, Milvane, Etinilestradiolo e Gestodene Mylan Generics,   Practil, Kipling,  Gestodiol, Antela, Desogestrel Etinilestradiolo Aurobindo,  Estmar, Minulet , Brilleve.

Trasmessa alle farmacie con una circolare burocratica dal titolo neutro - "riclassificazione anticoncezionali”- la notizia arrivata in coincidenza colla Giornata della Contraccezione ha preso un po’ tutti in contropiede, tanto che, anche nelle società scientifiche c’è chi scherzando ma non troppo, attribuisce l’iniziativa al fertility day. Mentre l’Agenzia italiana del Farmaco AIFA, sollecitata dai No grazie pago io, ha risposto oggi con una nota burocratica che ripercorre l’iter della decisione, spiegando che si trattava di ”sanare una precedente disomogeneità in merito al regime di rimborsabilità tra i nuovi estroprogestinici in classe C e i vecchi farmaci”, finiti in classe A in seguito alla cancellazione nel 2001 della classe B che comprendeva farmaci parzialmente rimborsabili. 

In sostanza, non si tratterebbe di una decisione assunta in base a motivazioni scientifiche o politiche, ma di una scelta tecnica di razionalizzazione del settore, realizzata nell’ambito di una periodica manovra di contenimento della spesa.  

Formalmente a stare o passare in fascia C sono molecole cui si riconosce un’efficacia limitata, “oppure farmaci efficaci, il cui costo però è ritenuto basso e quindi scaricabile sui cittadini: un esempio classico è il paracetamolo, in fascia C nonostante sia molto efficace, e farmaco di prima scelta anche per il trattamento analgesico dell’artrosi",  ricorda Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE che si batte per l’appropriatezza nell’assistenza sanitaria.

Anche i contraccettivi orali, d’altra parte, possono essere utilizzati per trattare alcune forme di acne e altre patologie.  E quelle che fino a poche settimane fa erano disponibili gratuitamente sono molecole non nuovissime - le cosiddette pillole di terza generazione - già oggetto di qualche polemica perché alcuni studi mostrano che presentano un rischio di trombosi venosa tromboembolico doppio rispetto a quelle di seconda generazione. "Bisogna però considerare che si tratta comunque di un rischio molto contenuto, e certamente inferiore a quello per le gravide -che è dieci volte superiore- e nel post parto”, spiega il presidente dell’associazione italiana per l’educazione demografica AIED, Mario Puiatti.

E in realtà molte donne già scelgono pillole in fascia C, le più nuove e anche le più pubblicizzate dalle case farmaceutiche “che spesso - ricorda Puiatti - rappresentano per i medici l’unica fonte d’informazione sulla contraccezione”. E la sensazione è che in materia di contraccezione siano le aziende, più che i consumatori, a far sentire la propria voce, considerato che la loro volontà gioca un ruolo importante nella decisione di chiedere o no che un farmaco sia rimborsabile.

Quelle appena escluse dalla fascia A sono pillole poco costose - i prezzi variano intorno a 3/5 euro a confezione - che, però rappresentano una preziosa opportunità per le fasce sociali più deboli, quelle che godono anche dell’esenzione dal ticket: “Stiamo parlando di persone per cui tre euro sono un chilo di pane”, ricordano le ginecologhe di No grazie pago io “allo stato l’unica ‘pratica anticoncezionale’ rimborsata dal servizio sanitario nazionale è l’aborto”.

Mentre secondo il presidente della Società Medica Italiana per la contraccezione Emilio Arisi, “questi contraccettivi sono poco recenti e poco usati, probabilmente da non più del 5% dell’utenza. Anche se è vero che doverli pagare potrebbe mettere in difficoltà qualcuno per cui rappresentavano una buona soluzione”.  E, in effetti, le pillole in fascia A “erano preziose per le ragazze più giovani o per le donne straniere per cui anche pochi euro possono fare la differenza - sottolinea Puiatti - escludendole si rischia di danneggiare una fascia debole di utenza”. Un segnale preoccupante, in un paese in cui la contraccezione ormonale è assai meno utilizzata che in altri paesi europei: “In Italia meno del 20% delle donne usa la pillola, e soprattutto si tratta di un dato costante da anni”, ricorda Puiatti. E un’‘iniziativa di questo tipo sembra allontanare ulteriormente gli obiettivi della legge 405/75, che quarant’anni da istituiva i consultori familiari con l’idea che la contraccezione dovesse essere gratuita e i consultori strutture in cui ci accedeva gratuitamente: “Col tempo le cose sono cambiate, e oggi – ricorda il presidente AIED - per i servizi consultoriali la situazione varia da regione a regione. O  in qualche caso da azienda sanitaria ad azienda sanitaria”.

Per questo la circolare AIFA, presentata come un provvedimento di razionalizzazione ma che sostanzialmente bolla come “non indispensabile” il contraccettivo, sta generando voglia di mobilitazione: “ la pillola -conclude Puiatti - non è solo un farmaco, è uno strumento di libertà”.