Il rapporto annuale dell'organizzazione traccia un quadro drammatico dei diritti umani in Egitto: "Repressione ben oltre i livelli prima della rivoluzione. Torture e sparizioni forzate atti quotidiani sempre impuniti. La Comunità internazionale deve agire prima che sia troppo tardi"

In Egitto il dissenso pubblico e l'opposizione pacifica sono di fatto vietati. Nel 2016 le forze di sicurezza hanno torturato e fatto sparire in modo sistematico centinaia di persone. Restando sempre impuniti. La repressione ha superato persino i livelli antecedenti la rivoluzione del 2011. Se non si interviene subito, si rischia l'estinzione della società civile. E' quanto emerge dal rapporto annuale di Human Rights Watch pubblicato il 12 gennaio scorso e che traccia un quadro drammatico della situazione attuale del Paese guidato dal generale al-Sisi.

“Dopo aver imprigionato decine di migliaia di oppositori politici, il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi nel 2016 ha criminalizzato il lavoro sui diritti umani e soffocato, come non era mai avvenuto prima, l’attivismo dei gruppi indipendenti della società civile”, si legge nella 27esima edizione della relazione.
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"La comunità internazionale deve riconoscere che i diritti umani in Egitto sono peggiorati molto superando di gran lunga la repressione esistente prima della rivoluzione del 2011", ha dichiarato Joe Stork, vice direttore della divisione Medio oriente e Nord Africa di Human Rights Watch. "E’ necessario da parte della Comunità internazionale un impegno coordinato per aiutare a preservare ciò che resta della società civile del Paese prima che venga completamente cancellata".

Ad avallare i giudizi ci sono i numeri: tra agosto 2015 e agosto 2016 la Commissione egiziana per i diritti e le libertà ha documentato 912 vittime di sparizione forzata da parte della polizia. Di 52 casi di questi non si ha ancora nessuna notizia. Tra gennaio e ottobre 2016, secondo i dati raccolti dal Centro El Nadeem, 433 detenuti hanno denunciato di aver subito torture e maltrattamenti da poliziotti o guardie carcerarie. Nel mese di novembre le autorità hanno congelato il patrimonio del Centro El Nadeem, che si occupa della tutela e della riabilitazione delle vittime di tortura, e vietato al co-fondatore Aida Seif al-Dawla, docente di psicologia e da lungo tempo attivista anti-tortura, di lasciare il Paese.
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Una sorte toccata a decine di altri attivisti. Solo nel mese di settembre sono stati congelati i beni di tre associazioni. Almeno quindici dirigenti non possono lasciare l’Egitto perché accusati di aver ricevuto finanziamenti dall’estero. Un reato punibile con una pena fino a 25 anni di carcere. L’intenzione del governo attuale sembra sia proprio quella di annullare ogni presenza della società civile. L’ultima stretta è la legge approvata nel mese di novembre dal Parlamento con cui viene prevista la presenza di un rappresentante delle forze di sicurezza nei direttivi delle associazioni indipendenti.
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Una legge ritenuta incostituzionale ma che difficilmente sarà bloccata. Per l'entrata in vigore manca solo la firma del presidente. Nel rapporto è stato citato anche il caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano rapito il 25 gennaio dell'anno scorso e ucciso dopo essere stato torturato per diversi giorni. “Il caso – si legge nella nota dell’organizzazione – ha creato tensione nei rapporti tra l’Italia e l’Egitto”. Tuttavia, vengono riportate anche le parole spese da Donald Trump durante il suo incontro, nel mese di settembre, con il presidente egiziano al-Sisi: «Massimo sostegno all’Egitto nella sua guerra al terrorismo. La nostra amministrazione sarà un fedele amico, non solo un semplice alleato».