Fare pubblicità alla lettura è difficile, farla a singoli libri è praticamente inutile: «Quando vedo le pagine di giornali piene di copertine penso che non servono a molto, e che gli editori dovrebbero piuttosto unirsi per fare campagne che aiutino ad allargare il mercato, a coltivare i lettori forti e a farne nascere di nuovi. E soprattutto a non far disamorare i giovani, che leggono fino all’adolescenza e poi lasciano perdere. Bisognerebbe lavorarci molto, in modo ragionato e continuativo, e prendendo esempio da quello che fanno in altri paesi».

Difficile riuscire a diffondere il virus della lettura con spot come quelli messi in campo dal Governo italiano nel 2009 o nel ’12. Nel primo, una schiera di lettori giovani, belli e vestiti di bianco si passa libri «con l’espressione estasiata di chi ha raggiunto finalmente un traguardo nella vita», per usare le parole che cantava Lucio Battisti. La catena finisce con una donna anziana che sentenzia «Leggere è il cibo della mente: passaparola!».
«Astratto e sussiegoso», commenta Annamaria Testa. «Già il tono di voce è sbagliato: didattico, pedante... Anche chi sarebbe bendisposto viene allontanato da uno spot così. La lettura è una passione, e la passione non nasce da un obbligo ma da un trasporto emotivo. I romanzi sono uno scrigno inesauribile di emozioni, eppure nelle nostre campagne la chiave emotiva è totalmente assente. È assurdo: chi deve vendere carta igienica o pelati cerca le emozioni, e chi vuole promuovere la lettura no».
Lo conferma il secondo esempio italiano, la campagna per la giornata della lettura del 2012. Tutta giocata sulla “scalata intellettuale” che porta il lettore prima in edicola, poi in libreria e infine in biblioteca: perché «più leggi, più sai leggere la realtà», assicura con tono pragmatico una voce maschile. «Campagne perbeniste e benintenzionate, ma inutili», è la sentenza. Anche il richiamo alla scalata sociale promessa dalla cultura va sprecato: «Dire “leggi, così diventi intelligente” non serve. Ed è vero che la lettura fa bene alla salute, alla comprensione degli altri e anche allo status sociale: ma succede se leggi davvero e con passione, non se lo fai per finta e per dovere».
Eppure dare un’immagine vincente della lettura è possibile anche senza grandi finanziamenti. Un esempio? «La serie di Hot dudes reading, “bei ragazzi che leggono” su Instagram. È iniziata con due ragazze che hanno girato nella metropolitana di New York fotografando e mettendo in rete foto di uomini giovani e belli immersi nelle pagine di un libro. Un successo: anche perché lega lettura e sex appeal, un legame che del resto non è affatto infondato...». Deve essere costato pochissimo anche il video girato nel 2010 da un libraio spagnolo, uno dei preferiti dalla studiosa milanese. Facendo garbatamente il verso a Steve Jobs e alla sua leggendaria passeggiata sul palco davanti a una folla adorante mentre camminava con il primo computer senza fili, il libraio presenta «el nuevo dispositivo de conocimiento bioóptico organizado de nombre comercial “Book”»: un prodotto rivoluzionario, senza fili, che funziona senza elettricità e senza connessione web. E avanti così, per tre minuti di puro divertimento davanti a quest’invito a provare «la experiencia book» e a tuffarsi in una «nueva ola de intratienimiento».
Una trovata «irresistibile», secondo Annamaria Testa, «e finalmente un video spiritoso. Perché leggere non è noioso: ma nessuno lo sospetterebbe guardando le nostre campagne pubblicitarie!» Anche lo humour nero funziona. In uno spot inglese del 2009, un gruppo di amici gioca alle sciarade. Uno inizia a mimare un titolo, e gli altri cominciano a snocciolare un elenco - dall’“Idiota”ad “Anna Karenina”, da “Cuore di tenebra” a “Romeo e Giulietta” - senza rendersi conto che il poveretto non sta più recitando ma ha avuto un infarto. Alla fine capiscono, e allo stesso tempo trovano la soluzione della sciarada: «Hemingway, “Morte nel pomeriggio”».
E via così con esempi lituani e neozelandesi, spot dove i volumi prendono vita e campagne pubblicitarie in cui basta “indossare” la copertina di un volume per diventare un’altra persona. Nessuno di questi esempi è italiano, ma non vuol dire che qui non funzioni niente: «Da noi l’invito alla lettura passa, e molto bene, attraverso i festival, come Un mare di libri a Rimini, o iniziative come Nati per leggere. Per non parlare di Mantova: il Festivaletteratura è una straordinaria macchina di promozione della lettura». Non c’è molto da sperare invece da quei “testimonial per caso” che ogni tanto fanno partire un passaparola: «Massimo D’Alema che suggerisce Le Braci o Roberto D’Agostino con la sua campagna per L’insostenibile leggerezza dell’essere possono funzionare una volta, ma più li usiamo meno funzionano. Se una persona di cui lei si fida cita il titolo di un libro lei forse lo va a comprare, ma se lo fanno tutti in continuazione, citando solo il titolo e senza dire nulla del contenuto, alla lunga nessuno si fiderà più».
E i social network? «Funzionano come promozione perché sono lettura loro stessi: e la lettura è sempre buona, non solo quella su carta, non solo quella “seria”. È vero che sul web si leggono soprattutto testi brevi e leggeri, ma a volte hanno successo anche contenuti lunghi e consistenti. Gli articoli da diecimila parole sperimentati da alcune testate anglosassoni funzionano anche sul web. E chi comincia a leggere su uno schermo, forse una volta che non ha a disposizione lo schermo passerà alla carta. O ascolterà un audiolibro: nessun tipo di lettura va demonizzato. Anche perché non è affatto vero che siamo “nati per leggere”: anzi...». In che senso? «Nel senso che è un processo del tutto innaturale. La parola scritta ha soli cinquemila anni, noi siamo biologicamente molto più vecchi di così. Non siamo “progettati per leggere”. Il nostro cervello impara a farlo con grande fatica. Solo a un certo punto si passa dal decifrare lettera dopo lettera allo svolazzare con lo sguardo sulle parole: e questo passaggio dà una soddisfazione grandissima. Come imparare ad andare in bicicletta. E con lo stesso divertimento»
Leggere e andare in bici hanno un altro punto in comune: sono due cose importanti che non si imparano in classe. «La scuola italiana certo non aiuta a far nascere la passione. Quando mio figlio, da sempre divoratore di libri, si vide obbligato a leggere La lunga vita di Marianna Ucrìa - bel romanzo, ma lontanissimo dai suoi interessi di ragazzino fissato con la fantascienza - si mise a piangere. La scuola dovrebbe aiutare la lettura, invece ha tante colpe. A partire dall’analisi del testo: ammazzerebbe qualsiasi passione». Una condanna senza appello? «No, ma se proprio la si deve imparare va limitata a momenti particolari. Leggere è farsi trascinare: tutto il contrario dell’analisi di un testo. Sarebbe come mettere Marilyn Monroe sul banco dell’anatomopatologo, sezionarla e pretendere che anche così continui a funzionare il suo sex appeal».