Gli anni d'oro con MItterand. I rapporti con l'Islam. L'importanza di studiare l'arabo. Parla il presidente dell'Istituto del mondo arabo di Parigi. Due anni dopo il Bataclan

All’orizzonte la cattedrale di Notre Dame, simbolo cattolico universale; alle spalle la Grande Moschea di Parigi, il più grande luogo di culto per i fedeli dell’Islam in Francia. In mezzo, come un ponte tra culture e religioni, l’Istituto del mondo arabo. Correva il 1987 quando l’Ima venne inaugurato: all’epoca Jack Lang era ministro della Cultura, giovane icona della gauche nell’età d’oro di François Mitterrand e del suo Partito Socialista, oggi ridotto a un pugno di voti. Adesso Lang è un signore di 78 anni, elegante e affabile, e dal 2013 siede sulla poltrona di presidente dell’Ima, un po’ manager culturale un po’ diplomatico abituato a fare gli onori di casa con i capi di Stato dei Paesi arabi. Il suo ufficio, all’ottavo piano, è un’ampia stanza luminosa che guarda la Senna, piena di libri d’arte, su una parete un quadro astratto del grande pittore marocchino Ahmed Cherkaoui (1934 -1967). È tempo di bilanci, a trent’anni dalla nascita dell’Ima e a due dalle stragi jihadiste di Charlie Hebdo e del Bataclan. «Gli attentati del 2015 non hanno cambiato il profilo e le aspettative del pubblico, anzi. Oggi i visitatori vogliono capire il mondo arabo, rappresentato spesso in maniera cupa dai media francesi e internazionali», dice Lang, seduto alla sua scrivania.

Tuttavia è vero che dopo gli attentati il numero di visitatori è diminuito.
«Un calo contenuto, in linea con le altre istituzioni culturali parigine. Nel 2015, nonostante gli attentati, abbiamo registrato 750mila visitatori, dopo un periodo di crescita sostenuta. Numeri confermati nel 2016, con 840mila visitatori, e nel 2017. In soli tre giorni, tra fine settembre e il primo ottobre, sono arrivate più di 20mila persone per le celebrazioni dei 30 anni dell’Ima».

All’epoca dell’inaugurazione lei era ministro della Cultura. Cosa ricorda?
«Fu una delle prime decisioni di François Mitterrand come presidente, nel 1981. Risaliva al 1978 il progetto, voluto dal re saudita Khaled ben Abdelaziz Al Saoud e dal presidente francese Valéry Giscard d’Estaing per riavvicinare i Paesi arabi e la Francia durante la crisi petrolifera. Ma il progetto architettonico non mi convinceva. Mitterrand mi diede carta bianca per trovare un altro luogo e bandire un nuovo concorso per giovani architetti, vinto poi da Jean Nouvel e da Architecture Studio. La facciata dell’Ima con le sue finestre, i suoi “moucharabieh” moderni, ebbe un successo notevole e rivelò al mondo il talento di Nouvel. Fu la prima delle grandi opere di Mitterrand in una stagione meravigliosa per la cultura».

Trent’anni dopo qual è il ruolo dell’Ima nel panorama culturale parigino?
«L’Ima ha sempre occupato uno spazio speciale nel paesaggio culturale francese. E da qualche anno ha ritrovato un ruolo centrale nella scena culturale della città. Oggi il pubblico guarda all’Ima come luogo di alta qualità culturale, motore del dialogo tra culture e civiltà. Qui i visitatori cercano le chiavi per comprendere il mondo arabo, ma anche la ricchezza dei suoi tesori artistici, la vitalità di società che creano, innovano, inventano».

L’Ima organizza anche corsi di lingua araba. Con quale spirito?
«Anzitutto è la quarta lingua più parlata al mondo. E per combattere fanatismo ed estremismo non c’è arma migliore della diffusione della cultura. Ogni giorno ci proponiamo di far conoscere al pubblico il mondo arabo nella sua complessità. Nel 2014, ad esempio, in occasione della mostra sul pellegrinaggio islamico alla Mecca, i principali rappresentanti dei culti monoteisti si sono ritrovati all’Ima per una manifestazione ecumenica per celebrare la fraternità e il dialogo. Alle religioni abbiamo dedicato diverse iniziative: solo nel 2017 una mostra sull’Islam africano e un’altra, tuttora visitabile, sulla storia bimillenaria dei cristiani d’Oriente».

Progetti ambiziosi anche se oggi i governi, rispetto ai tempi in cui lei era ministro, fanno i conti con risorse limitate. Come giudica la politica culturale del presidente Emmanuel Macron?
«È ancora presto per esprimere un’opinione definitiva. Mi limito a osservare che ha mantenuto il budget per la cultura, mi sembra già un segnale positivo».

Negli anni Ottanta lei fu l’artefice della legge sull’“eccezione culturale”, che imponeva alle tv una quota consistente di programmi francesi. A quelle norme si ispira il decreto legislativo appena approvato in Italia dal consiglio dei ministri.
«Ne sono davvero lieto, Dario Franceschini è un buon ministro della Cultura. Per portare avanti una legge sull’eccezione culturale bisogna avere coraggio. All’epoca i manager delle tv ci accusavano di protezionismo, ma così abbiamo contribuito a salvare il cinema francese. Il bilancio è sicuramente positivo: le stesse tv private che un tempo erano contrarie oggi sono contente perché le serie tv francesi vanno a gonfie vele».
colloquio con Jack Lang di Emanuele Coen