Tap riparte dalle modifiche al progetto del gasdotto, quelle già realizzate e quelle ancora possibili. Ne parlano ai piani alti della multinazionale con sede a Baar, in Svizzera, per rilanciare il dialogo con le istituzioni e con la Regione Puglia, con i sindaci, i cittadini e anche gli attivisti del movimento “No Tap” che da più di sei anni contestano la realizzazione della condotta che nel 2020 porterà in Italia il gas naturale del Mar Caspio, in Azerbaijan, dopo aver percorso 3.500 chilometri e attraversato sei Paesi.
Il punto è come cambiare rotta dopo le due inchieste esclusive pubblicate dall’Espresso: la prima ha documentato gli intrecci tra Tap e gli affaristi italiani legati alla politica, la criminalità organizzata, le casseforti anonime con la targa offshore; la seconda ha ricostruito le connessioni societarie fra tre blocchi di potere politico-economico, che portano al presidente turco Erdogan, al dittatore azero Aliyev e agli oligarchi russi legati a Putin.
A sentire il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, la Trans Adriatic Pipeline resta un progetto strategico per l’Italia: porterà prezzi più bassi per i consumatori, sostiene il ministro, e una maggiore diversificazione delle fonti energetiche. Fatto sta che finora il gasdotto ha incontrato più ostacoli che consensi, soprattutto per il tratto italiano: solo otto chilometri su 878, la distanza dal confine greco-turco all’Italia, dove approderà sotto la spiaggia di San Foca nel Comune di Melendugno, vicino a Lecce. A nove chilometri dalla costa, una delle più importanti destinazioni turistiche della Penisola, bandiera blu, verrà realizzato il terminale di ricezione (Prt) dove finirà Tap e partirà il collegamento alla rete nazionale del gas con altri 55 chilometri di condotte fino a Mesagne, vicino a Brindisi.
Per realizzare questi lavori, Tap lavora con gli enti preposti alle verifiche necessarie: ministero dell’Ambiente, autorità di Bacino, Regione Puglia, Arpa, Ispra. Mentre il gasdotto ha già ottenuto negli anni scorsi le due principali autorizzazioni: la Valutazione d’impatto ambientale (Via) dal ministero dell’Ambiente e l’Autorizzazione unica del ministero dello Sviluppo economico.
Adesso, per ammorbidire i toni, la Trans Adriatic Pipeline AG, società multinazionale costituita da big del settore energetico (Bp, Socar, Fluxys, Enagas, Axpo e l’italiana Snam al 20 per cento), ha messo in campo alcune iniziative a sostegno dell’economia del territorio, tra cui il progetto “Libera il mare” per lo studio dei rifiuti marini e la pulizia di fondali e spiagge. E ha lanciato una campagna di comunicazione per spiegare il progetto nei dettagli. «Vogliamo realizzare l’opera con la massima diligenza e trasparenza. E soprattutto convivere in modo positivo con il territorio, in un clima di fiducia con la popolazione e con i Comuni», esordisce Luca Schieppati, amministratore delegato di Tap, fino a giugno scorso managing director di Snam Rete Gas, la società azionista di Tap che gestisce la rete nazionale di gasdotti, oggi estesa su 32.500 chilometri.
Il manager milanese è stato nominato pochi mesi fa per avviare la nuova fase improntata al dialogo. Per agevolare i lavori, a inizio anno la multinazionale ha siglato con Snam un contratto di servizio in base al quale quest’ultima ha apportato alcune modifiche al piano. Modifiche sostanziali, per ridurre l’impatto sia nell’ambiente terrestre, sia per gli ulivi sia nell’ambiente marino. Il primo aggiustamento, aggiunge Schieppati, riguarda il microtunnel lungo un chilometro e mezzo che verrà scavato nell’entroterra - i lavori dovrebbero iniziare entro l’autunno - a circa 700 metri dalla spiaggia, e uscirà in mare a circa 800 metri, a una profondità di 25 metri. Per ridimensionarne l’impatto, il punto di uscita di questa condotta è stato leggermente spostato, allontanandolo dai pochi fasci isolati di Posidonia oceanica, alga assai diradata in quel punto della costa pugliese. Caratteristica morfologica su cui si basa la scelta della zona di approdo del gasdotto.
È questo uno degli aspetti più controversi: il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha sempre indicato come punto ideale la costa nel Comune di Torchiarolo, vicino a Brindisi, una trentina di chilometri più a nord di quello individuato da Tap. Per due motivi: la zona è meno pregiata e la condotta, per collegarsi alla rete nazionale del gas, deve percorrere un tragitto molto più breve. «Il gasdotto si deve fare, ma abbiamo il diritto di scegliere noi dove farlo arrivare», dice Emiliano all’Espresso: «C’è stato un evidente errore di progettazione, Tap ha tentato di porre rimedio e ora sta facendo ancora più danni. Se avessero cambiato l’approdo due anni fa, oggi i lavori sarebbero già conclusi. Finché non discuteremo di questo aspetto non ci siederemo più al tavolo con Tap», aggiunge il governatore.
Un’altra questione spinosa riguarda la condotta a terra. Gli esperti hanno messo a punto una tecnologia “trenchless”, senza scavare la trincea, che consente di evitare ogni contatto tra il pozzo di spinta e la falda locale. Una ulteriore variazione rispetto al progetto iniziale, per ridurre l’impatto sul territorio. «Questa tecnica permette in alcune aree particolarmente pregiate di non interferire con il terreno sovrastante, riduce la larghezza della pista di lavoro e il numero di ulivi da espiantare», aggiunge Schieppati: «Con questa tecnica Snam ha già posato tubi in zone protette: sotto il Parco della Majella, il Parco del Ticino, il Parco delle Nebrodi in Sicilia e delle Prealpi Giulie in Friuli. Sotto fiumi, laghi, foreste, uliveti».
Già, gli ulivi. Sono gli alberi simbolo dell’identità salentina il principale oggetto del contendere tra Tap e popolazione locale. Da tempo in Puglia sono sotto attacco della Xyella Fastidiosa, il batterio che ha già infettato due milioni di piante e ne minaccia altri dieci. Secondo il progetto del gasdotto, invece, gli ulivi da espiantare sono in tutto 10 mila. Finora Tap ha zollato e trasferito 210 ulivi nella Masseria del Capitano, il sito di stoccaggio nella zona di Melendugno dove vengono messi in sicurezza sotto un tendone (canopy) di protezione, ma di recente ha interrotto i lavori per la messa in sicurezza degli ultimi 42 alberi trasferiti, in seguito all’ordine di sospensione dei lavori emanato dal Comune della cittadina pugliese.
Intanto la mobilitazione del comitato No Tap continua: fanno le barricate, manifestano in mare con le barche, raccolgono migliaia di firme. «Avrebbero potuto parlare con la popolazione durante la procedura di valutazione d’impatto ambientale, come prevede la normativa europea. E invece non si è visto nessuno», dice Gianluca Maggiore, portavoce del comitato: «Che senso ha parlare oggi di dialogo e compensazioni, quando l’opera è già stata approvata?». Tap cerca di smorzare i toni. «Tutti gli ulivi che dovranno essere rimossi temporaneamente, verranno successivamente reimpiantati nel luogo di origine», assicura Michele Mario Elia, country manager per l’Italia di Tap, mentre attraversiamo a piedi la Masseria del Capitano: «Lo stesso avverrà per tutti i muretti a secco e le “pajare”, i trulli salentini interessati dalla costruzione dell’opera. Per altre opere, comunque, in Puglia sono stati movimentati 100mila ulivi negli ultimi quattro anni, a testimoniare la fattibilità di simili opere e la loro assoluta compatibilità ambientale».
È stato il manager pugliese, lo scorso aprile, a rispondere alla lettera-appello spedita da 94 sindaci della provincia di Lecce al presidente della Repubblica per chiedere lo stop ai lavori. Uno degli aspetti più contestati riguarda la costruzione del terminal di ricezione nella campagna di Melendugno, a ridosso di quattro centri densamente abitati (Melendugno, Vernole, Calimera e Castrì), con eventuali rischi per salute e sicurezza. «Non ci sarà alcuna centrale, ma un terminal di ricezione», precisa Elia: «Il terminale sarà situato in un’area di 12 ettari dei quali solo 3.500 metri quadrati saranno occupati da edifici. Nel terminal non verranno effettuate operazioni di trasformazione del gas né di stoccaggio, ma il gas verrà misurato fiscalmente per la successiva immissione nella rete nazionale».
A proposito di emissioni, è vero che la Puglia vanta alcuni importanti primati in materia di fonti rinnovabili, ma è altrettanto incontestabile che rimane la regione a più alta intensità di CO2, dove si concentra circa un terzo della capacità elettrica a carbone italiana. La Regione Puglia ha oggi un ambizioso piano di decarbonizzazione, che prevede tra l’altro la riduzione della produzione elettrica dalla fonte fossile, l’incentivazione della mobilità sostenibile nei centri urbani e il miglioramento energetico dei siti produttivi delle aziende piccole e artigiane. Secondo Tap il gas può avere un ruolo di primo piano in questa strategia. Favorendo ad esempio la crescita del biometano, del gas naturale liquefatto (Gnl) e del metano per autotrazione (Cng, “compressed natural gas”), carburante alternativo a benzina e gasolio per automobili, camion e bus. «Noi condividiamo l’intuizione di Emiliano sulla decarbonizzazione, cosa che può avvenire solo facendo arrivare il gas e creando una sorta di santa alleanza tra gas e fonti rinnovabili», conclude l’amministratore delegato di Tap, che ai primi di agosto ha partecipato al tavolo di confronto a Palazzo Chigi tra istituzioni, parti sociali e le società Tap e Snam sugli investimenti da realizzare a vantaggio del territorio salentino. Assenti il sindaco di Melendugno, Marco Potì, e il governatore della Regione Puglia, ufficialmente per motivi organizzativi: «Sul piano di decarbonizzazione avevamo avviato una discussione con Snam, con cui siamo pronti a dialogare. Ma cosa c’entra Tap? Perché dovremmo discutere con loro? E perché non con Gazprom o altri fornitori di gas? Decarbonizzazione e gasdotto devono procedere su binari indipendenti», conclude Emiliano.