Tra passione e sincerità il lavoro di Campillo convince. Una traduzione in pellicola le storie degli attivisti gay di Act Up, in piena esplosione dell’Aids. Con uno stile para-documentario, che ci catapulta nella Francia degli anni Novanta
Act Up è stato un movimento di attivisti gay che, nel pieno dell’esplosione dell’Aids, si impegnarono con azioni dimostrative non violente a sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla prevenzione, la ricerca, la corretta informazione. Enzo Traverso, nel recente libro “Malinconia di sinistra”, opponendolo alla militanza politica in crisi negli anni Ottanta, lo definisce un esempio di «malinconia politica feconda». Insomma, davanti al lutto per il fallimento delle speranze rivoluzionarie, Act Up trasformava un lutto reale, personale, in impegno.
[[ge:rep-locali:espresso:285297375]]Robin Campillo ha conosciuto bene quel mondo, e lo racconta decenni dopo. Lo stile però è quello para-documentario, come se ci trovassimo lì e allora. Seguiamo le assemblee e le azioni del gruppo francese, di cui poco a poco impariamo a conoscere i componenti. Dietro c’è la lezione del Cantet di “La classe” (di cui Campillo è sceneggiatore), e l’effetto è straniante, perché vuole comunicare urgenza su un tema che è ormai storia: e in questo effetto di realtà sono fondamentali i bravissimi attori.
Il cuore del film è la rievocazione cronachistica del gruppo, di rara precisione e anzi utile come studio di ogni gruppo politico auto-organizzato. Lo stesso racconto, la regia, il ritmo vengono sacrificati a questa precisione, a volte rendendo faticoso l’insieme. Ma al cuore di tutto c’è l’intreccio di pubblico e privato. Talvolta fa capolino l’enfasi: il ralenti con musica alle manifestazioni, l’inquadratura poetica dall’alto con la musica dei Bronski Beat, il montaggio alternato tra una scopata e un’azione dimostrativa, che sottolinea il legame tra personale e politico. Ma il film, apprezzatissimo in Francia e vincitore del Gran premio della Giuria a Cannes, riesce a comunicare il senso di quell’esperienza, perché è evidente non solo la profonda conoscenza di ciò che racconta, ma anche la passione e la sincerità con cui racconta.
“120 battiti al minuto”
di Robin Campillo, Francia