Poco più di un anno fa, seduto sul palcoscenico dell’Eliseo per un incontro con studenti e pubblico, David Mamet dribblava con destrezza ogni domanda sulla politica americana per parlare di teatro. Raccontava di essere uno di quegli autori che preferiscono non vedere le messinscene altrui dei propri testi.
Comunque, dalla messinscena che Luca Barbareschi ha fatto del suo ultimo testo, “Il Penitente”, potrebbe essere più che soddisfatto. Buone le scene geometriche che tentano di alludere agli spazi mentali della morale di cui molto si discetta, ottimi i suoni di Hubert Westkemper e i video - spesso pleonastici se non fastidiosi - qui aiutano e ben accompagnano il ritmo serrato.
Più che credibile e in parte Barbareschi, ma anche un autore che in italiano sa dire solo “ciao” capirebbe che i comprimari vanno dove li porta il cuore, e cioè ognuno per i fatti propri, senza un vero controllo registico che li marchi da vicino. Come reclamerebbe il testo che comunque si impone.
Otto scene con dialoghi smozzicati e inesorabili alla Mamet raccontano la parabola discendente di uno psichiatra che ha avuto in cura un ragazzo che ha fatto una strage di una decina di persone. A ogni giro dei dialoghi a spirale abbiamo qualche informazione in più, ma anche rivelazioni.
Si parte dalla stampa che crea mostri per vendere e attribuisce allo psichiatra parole che non ha mai pronunciato ma «se si va contro i giornali si diventa le loro vittime». Lo psichiatra resiste a tutto, non testimonierà a favore del suo paziente, non consegnerà mai gli appunti delle sedute, fedele al giuramento di Ippocrate, alla sua morale e alla sua religione ebraica di cui è diventato osservante. Perderà tutto, anche nel privato, tranne - direbbe Kant - la legge morale dentro di me.