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Dieci verbali che hanno cambiato la storia d’Italia. Sono interrogatori che hanno scoperchiato il sistema della corruzione nella Prima Repubblica. Dalle confessioni a valanga del primo arrestato allo scontro finale tra Silvio Berlusconi e i magistrati di Mani Pulite. Ecco la storia raccontata dai documenti della magistratura.
Mario Chiesa è stato il primo dei circa mille arrestati di Mani Pulite, l’inchiesta della Procura di Milano che tra il 1992 e il 1994 ha travolto il vecchio sistema dei partiti. Presidente socialista di un ospizio milanese, Chiesa viene ammanettato il 17 febbraio 1992 quando ha appena incassato una bustarella di 7 milioni di lire (3.500 euro) versata da un imprenditore delle pulizie. Il 23 marzo 1992, davanti al pm Antonio Di Pietro, confessa vent’anni di corruzioni sugli appalti. Le sue rivelazioni chiamano in causa decine di indagati: imprenditori che pagavano e politici socialisti a cui consegnava personalmente buste di denaro. Le sue accuse provocano altri arresti nuove confessioni: l’inchiesta continua ad allargarsi e svela il sistema di Tangentopoli.
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Dagli appalti milanesi l’inchiesta risale ai tesorieri nazionali dei partiti. Il 7 febbraio 1993 si costituisce Silvano Larini, ricercato per corruzione sugli appalti del metrò e grande amico di Bettino Craxi. Larini confessa di aver ricevuto per anni tangenti milionarie, che consegnava personalmente al leader socialista nel suo ufficio in piazza Duomo. Larini ammette anche di aver prestato un suo deposito svizzero a Craxi e al suo vice, Claudio Martelli: su quel conto, chiamato Protezione, sono arrivati 7 milioni di dollari versati nel 1980 dal Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, con la mediazione di Licio Gelli.
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Pierfrancesco Pacini Battaglia è il banchiere italo-svizzero che ha gestito una massa di fondi neri dell’Eni: oltre 500 miliardi di lire (250 milioni di euro). Il 10 marzo 1993 si costituisce davanti al giudice Italo Ghitti e al pm Antonio Di Pietro. Pacini Battaglia svela le mediazioni segrete sui grandi affari per il gas e il petrolio. E confessa di aver fatto arrivare in Italia oltre 50 miliardi di lire, consegnati in contanti ai tesorieri del Psi e della Dc, i partiti che controllavano ?il colosso energetico di Stato, allora in grave crisi. Le rivelazioni del banchiere aprono le indagini sui fondi neri delle grandi aziende e sulle maxi-corruzioni
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Tra il 2 e il 25 febbraio 1993 si apre ?il fronte delle tangenti rosse. Lorenzo Panzavolta, manager della Calcestruzzi del gruppo Ferruzzi, confessa di aver versato mazzette (in totale circa 620 mila euro) al Pci-Pds nazionale. A incassarle, su un conto svizzero svelato nell’interrogatorio del 25 febbraio, era Primo Greganti, ex funzionario comunista senza incarichi ufficiali nel partito. Prima dei verbali di Panzavolta, ie indagini per corruzione avevano coinvolto solo la corrente migliorista, al potere a Milano con i socialisti ma avversata dal vertice nazionale del partito. Detenuto per mesi, Greganti non confessarà mai a chi dava i soldi
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Eugenio Cefis, il riservatissimo ed enigmatico ex re della chimica, viene convococato come semplice testimone, il 22 aprile 1993, dai magistrati che indagano sul crac Ambrosiano e sul conto Protezione. Spiega di non sapere nulla di quelle vicende, ma di poter dire molto sui finanziamenti illeciti deil’Eni ai partiti. Cefis mette a verbale i meccanismi di un sistema automatico di creazione di fondi neri, distribuiti ai cinque partiti di governo dal banchiere Arcaini dell’Italcasse. Un sistema che dice di aver ereditato da Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni. Cefis parla anche di un versamento estero al vecchio Pci per sbloccare affari in Unione sovietica.
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Il 24 aprile 1993 Cesare Romiti, amministratore delegato del gruppo FIat, consegna ai magistrati un memoriale indirizzato al procuratore capo Francesco Saverio Borrelli. Dopo vari arresti di manager Fiat, i vertici ?del gruppo ammettono che sei società di costruzioni e forniture per i trasporti hanno dovuto pagare tangenti per vincere appalti. Romiti sostiene di averlo saputo solo dopo Tangentopoli, con un’inchiesta interna. Il memoriale, autorizzato da Gianni e Umberto Agnelli, fa i nomi dei manager Fiat pronti a collaborare con la giustizia. Una svolta per il mondo delle imprese.
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Nell’autunno del 1993 i magistrati scoprono che anche la Lega Nord ha incassato tangenti dalla Montedison. Il tesoriere del partito padano, Alessandro Patelli, viene arrestato e il 15 dicembre 1993 confessa di aver incassato 200 milioni di lire (100 mila euro), versatigli in contanti, in nero, dai manager del gruppo chimico. Il leader della Lega, Umberto Bossi, nega di aver saputo della tangente ?e sostiene che Patelli gliene parlò solo a cose fatte. Dopo l’interrogatorio, Bossi restituisce alla Procura un assegno di 200 milioni raccolti con una colletta tra i militanti leghisti e al processo Enimont viene condannato per il reato di finanziamento illecito insieme a Patelli
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Dopo il suicidio di Raoul Gardini, il manager Giuseppe Garofano, cervello finanziario del gruppo Ferruzzi- Montedison, detenuto nel carcere di Opera, confessa tutti i dettagli della maxi-tangente Enimont: fondi neri per oltre 150 miliardi di lire (più di 75 milioni di euro) versati ai cinque partiti di governo, tra il 1990 e il 1992, e a decine di parlamentari e capicorrente. ?Il processo Enimont, ripreso in diretta dalle principali reti televisive, porterà alle condanne definitive per finanziamenti illeciti di tutti i segretari e tesorieri della Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli, segnando la fine del vecchio sistema dei partiti.
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Il 26 aprile 1994 un vicebrigadiere ?della Guardia di Finanza, Pietro ?Di Giovanni, denuncia una tentata corruzione: il suo capopattuglia gli ?ha offerto due milioni e mezzo di lire. ?Il caso fa esplodere lo scandalo della corruzione nelle verifiche fiscali, ?che porta alla condanna di decine ?di graduati, fino al generale Giuseppe Cerciello. A partire dal 7 luglio alcuni ufficiali confessano di aver intascato quattro tangenti dalla Fininvest. ?Il 13 luglio il governo Berlusconi vara ?un decreto, intitolato al ministro Alfredo Biondi, che impone di scarcerare ?i corrotti. Il decreto viene ritirato ?dopo una protesta dei pm.
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Il 21 novembre 1994 Silvio Berlusconi, allora capo del governo, viene indagato come imprenditore con l’accusa di aver autorizzato i suoi manager a pagare tangenti alla Guardia di Finanza. Alla vigilia della data fissata per l’Interrogatorio, Di Pietro si dimette improvvisamente. La deposizione viene rinviata al 13 dicembre 1994. Nell’interrogatorio il pm Piercamillo Davigo contesta a Berlusconi un depistaggio cruciale per far tacere un finanziere corrotto. Il leader di Forza Italia nega tutto e attacca i magistrati. Condannato in primo grado, Berlusconi ottiene l’assoluzione in Cassazione, che condanna tutti gli altri manager Fininvest che hanno corrotto la Finanza.
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