Teresa Bellanova, l'ex sindacalista assetata di riflettori che Matteo Renzi spinge sul palco

La viceministra allo Sviluppo economico è l’algoritmo perfetto agli occhi dell’ex premier rottamatore che ora, per farsi rieleggere alla guida del partito, ha bisogno di un profilo che rassicuri la sinistra

Sale sul palco, evoca un solido immaginario di sinistra, prende un sacco di applausi, scende. È almeno la quarta volta negli ultimi mesi che la scena si ripete: troppo spesso, perché sia un caso. Teresa Bellanova, 58 anni, viceministra allo Sviluppo economico, rinfrescato miscuglio tra il format della ex sindacalista e quello della dolente politica meridionale, è infatti uno dei profili in ascesa del renzismo ?in inciampo. È donna, ma non ha il target ?di Maria Elena Boschi; viene dalla Cgil, ?ma ha strappato (non troppo) col sindacato; è pugliese, ma non si chiama Michele Emiliano. Praticamente è l’algoritmo perfetto agli occhi dell’ex premier rottamatore che ora, per farsi rieleggere alla guida del partito, ha bisogno di un profilo che rassicuri la sinistra, di qualcuno ?che sappia parlare al trascurato sud, ?e possibilmente non irriti le donne.

A Bellanova poi alcuni danno persino della rinnegata: e ciò in fondo si sposa bene col renzismo, lato retorico del «ci vuole coraggio per», parola da lei parecchio utilizzata.

L’ascesa mediatica di Bellanova in effetti ?si è consolidata proprio contro Emiliano, all’epoca del referendum sulle trivelle, ed ?è iniziata esattamente nel momento in cui Boschi si trovò nell’occhio del ciclone. ?Era la Leopolda 2015, l’edizione nella quale l’attenzione era concentrata soprattutto sulla presenza o meno dell’allora ministra Riforme in pieno caso Banca Etruria: fu invitata sul palco Bellanova che, prima della promozione a viceministra, era sottosegretaria al Lavoro. Aveva la gonna e ?i capelli di una professoressa di lettere degli anni Novanta, nulla del tacco dodici, parlò dell’episodio fondante della sua mitologia personale, il coup de foudre col lavoro che fa: cioè di quando, a quattordici anni, da bracciante, se la dovette vedere coi caporali che erano venuti a cercarla con le pistole nella Camera del Lavoro di Villa Castelli, vicino a Brindisi, ed ebbe la meglio. ?Ecco, quando si dice un incipit salottiero.

Teresa Bellanova si situa in effetti all’opposto dell’ironia esile che fece ?dire a Marianna Madia di voler portare ?in Parlamento la sua «straordinaria inesperienza». Figlia di un comunista, cresciuta in sezione, moglie di un interprete magrebino conosciuto a Casablanca, più attenta a quel che scrive il Corriere del mezzogiorno o il Quotidiano di Puglia che non agli ospiti di Porta a porta, ha portato infatti al servizio del renzismo la sua adolescenza passata tra la raccolta dell’uva nei campi e le lotte bracciantili nelle Murge, e in dote al governo la sua successiva cavalcata a difendere i diritti dei lavoratori - una storia che la rende tutt’oggi perfetta a interpretare il volto buono nelle trattative coi sindacati. A 15 anni, per dire, due prima che Renzi nascesse, Bellanova era già capolega dei braccianti nella Camera del Lavoro della sua Ceglie Messapica, abituata a farsi squadrare in malo modo da chi passava avanti alla sede.

Figurarsi se dopo oltre trent’anni passati ?a scalare posizioni nella Cgil (prima i braccianti, poi i tessili), e altri dieci a salire nella gerarchia del Pd (nel 2007 fece parte dei cento chiamati a scriverne lo statuto), Bellanova si è fatta intimidire da chi nel 2015 la chiamava traditrice solo perché - sottosegretaria al Lavoro, con la scorta - faceva da scudo al Jobs Act, difendendo ?la riforma che ha cancellato l’articolo 18 con la stessa foga con la quale, nell’epoca berlusconiana, aveva attaccato i progetti per smantellarlo. Certo l’operazione non è agevole, anche
Palazzo
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dal punto di vista retorico. L’ultima volta, per uscirne, Bellanova ha dovuto aggrapparsi all’abolizione delle dimissioni in bianco: è vero che sono aumentati i licenziamenti, ha spiegato, ma le dimissioni volontarie sono diminuite di più, dunque alla fine il saldo è positivo. Viva il renzismo, viva il coraggio. «Gli scissionisti avevano già rotto il legame, ma è lei che ha rotto il legame con quel che diceva nel 2010», chiosano intanto su Facebook, sottolineando il suo voltagabbanismo.

Ma la faccenda, in fondo, per Renzi è anche un pregio: «È stata capace di rompere con le categorie del secolo scorso», la elogiò una volta. Basti dire che fu Pier Luigi Bersani, a farle fare il salto nella politica nazionale: prima elezione, in quota Ds, nell’Ulivo 2006, alle primarie del 2009 Bellanova già attaccava Emiliano per conto di Bersani e della sua mozione. «Parli come mangia», intima invece adesso lei all’ex segretario scissionista, al quale ha dato persino del «ritorno alla palude e al manuale Cencelli».

Diretta quando deve, levantina da barocco leccese quando vuole, Bellanova continua invece ad attaccarlo, Emiliano. Stavolta per conto di Renzi. L’ha fatto lo scorso anno, quando tra le critiche (e una denuncia pentastellata) fece campagna pro astensione, contro il millenarismo anti-trivelle del governatore pugliese. E adesso che lui è avversario congressuale, nei discorsi della viceministra c’è sempre - magari seminascosto - un bel calcione.

«A quelli che vedono petrolieri e banchieri da tutte le parti, ricordiamo che bisogna fare battaglia insieme, se non sono rimasti solo per produrre ulteriore danno», è stata la simpatica dedica che gli ha lanciato dal Lingotto di Torino. Anche al ministero sono note le sue battute, tanto quanto lo stakanovismo che la porta in ufficio alle sette e mezza, o le fa fare nottate sui tavoli di crisi (7 notti e 26 ore per chiudere l’accordo sulla Thyssen), e il caratteraccio che le ha fatto consumare tre portavoce in un anno, mentre continua ad affidarsi per il resto a una specie di cerchio magico salentino (tutte donne) che la segue, esausto ma non domo, da un decennio. Convinto forse, come Renzi, che quel piglio da Quarto Stato revisited sia da tenere stretto, nonostante tutto.

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