Il caso Suntech: truffa in Puglia made in Cina

L'accusa dei pm: una società di Pechino si è presa i soldi per il solare dallo Stato italiano. Violando la legge. E portando milioni in paradisi fiscali

Maledetto quell’affare italiano. Chissà se Shi Zhengrong, tra rabbia e amarezza, si è lasciato andare a questa espressione il 6 novembre 2013. Quel giorno, un nerissimo mercoledì, il titolo della “sua” Suntech, leader mondiale di pannelli solari, viene sospeso dalla quotazione a Wall Street. In poco tempo tutto gli rotola addosso: il default, un’istanza di bancarotta e, ultimo smacco, il delisting, l’uscita di scena della società dalla Borsa di New York, dov’era sbarcata nel 2005, prima azienda privata cinese ad entrare nel tempio del capitalismo. È il crollo, la fine di un impero.

ORIENTE RAMPANTE Nato da contadini poverissimi, dato in adozione, Shi, studi rigorosi e master in un’università australiana, era riuscito a diventare miliardario, uno dei cinesi più ricchi secondo “Forbes”, e addirittura venire incoronato da “Time” come uno degli “eroi dell’ambiente”. Fino a quando si è infilato in un thriller finanziario, che si snoda da Wuxi, una città della Cina orientale bagnata dal fiume Azzurro, all’Italia, dalla Germania alla Gran Bretagna, da Lussemburgo a Singapore, sullo sfondo dei più riservati paradisi fiscali, Cayman Islands e British Virgin Islands. Una storia che “l’Espresso” svela in esclusiva grazie a file segreti e documenti giudiziari ottenuti dall’associazione italiana Investigative Reporting Project Italy (Irpi) e quella americana International Consortium of Investigative Journalists (Icij), nell’ambito dell’inchiesta “OffshoreLeaks”.

È una saga internazionale a più facce: presunte truffe legate a bund tedeschi; manager accusati dalla magistratura di aver preso illecitamente soldi pubblici per finanziare i parchi solari della Suntech nelle campagne salentine; complesse cause civili, tra Londra e Singapore.
Shi Zhengrong, classe 1963, lascia l’Australia nel 2001 e ritorna a casa, in Cina. Qui, prima strappa un finanziamento di 6 milioni di dollari da un governo locale, e poi si butta sul nuovo business, le celle solari, all’insegna dello slogan “energia verde”. Sarà un grande successo, che lo renderà sempre più ambizioso, desideroso di un’espansione planetaria. Shi crea un veicolo finanziario, Suntech Power Holdings, sede nelle Caymans, pronto per conquistare Wall Street nel dicembre 2005. Un veicolo non certo unico, attorniato da una serie di entità misteriose, ora scoperte dai giornalisti di Irpi e Icij: ben 16, tra trust e offshore, costituite in tre anni, fino al 2008, nelle British Virgin Islands. Oltre a Shi, ne sono amministratori o azionisti 11 dirigenti Suntech.

SBARCO IN ITALIA
È una vera e propria struttura piramidale, una ragnatela che vuole conquistare il globo, piazzando i suoi pannelli in più di 80 Paesi. Sei anni fa Suntech decide di produrre direttamente energia. La scelta cade sulla Puglia, nel Salento, tra sole, pianure e, soprattutto, incentivi statali. L’investimento nella regione lo seguirà un fondo lussemburghese, il Global Solar Fund (Gsf), controllato all’80 per cento dalla Suntech, mentre il resto delle azioni è diviso tra un’offshore di Shi nelle British Virgin Islands, la Best (Regent) Asia Group, e una società di Singapore, Gsf Capital, che fa capo a uno spagnolo: Javier Ignacio Romero Ledesma.

Per la scalata italiana Romero fa lo scout, a caccia di persone che contano, con i contatti giusti. Le trova in due “sviluppatori del solare”, imprenditori del settore che dispongono di un tesoretto: aziende con terreni e autorizzazioni per realizzare impianti fotovoltaici nel brindisino. E proprio di questo Romero ha bisogno. Da Gaetano Buglisi e Roberto Saija nel 2008 compra 27 imprese. Per trattare con loro non deve fare molta strada, il quartier generale Gsf a Roma viene allestito a pochi passi dagli uffici del duo, nella zona del Pantheon.
Ma l’acquisto del tesoretto non basta. Suntech ha bisogno di finanziare la “venture” pugliese. È così che nel 2010 spunta dalla China Development Bank, un colosso controllato da Pechino, un prestito di 554 milioni di dollari. In garanzia vengono dati titoli di Stato tedeschi, bund, procurati da Romero, del valore di 560 milioni. Se la holding di Shi Zhengrong non riesce a pagare, la banca cinese si rifà con i titoli che diventano suoi.
Tutto sembrerebbe a posto. Si parte. In Puglia arrivano 6,5 milioni di euro di sovvenzioni, erogate dal Gse (Gestione servizi energetici), ente statale che si occupa di energie alternative.

SOTTO INDAGINE
Ma nel 2011 la macchina s’inceppa. Qualcosa non quadra. Dirigenti della provincia di Brindisi, colpiti dall’invasione di parchi, allertano la magistratura. Il sostituto procuratore Nicolangelo Ghizzardi si muove e sospetta che tre manager Suntech, capofila Romero, con Buglisi, Saija e altri abbiano frammentato in tanti micro-impianti, inferiori a un megawatt di potenza, ma solo sulla carta, un progetto piu grosso. Per giustificare l’avvio, sarebbe stato sufficiente presentare al Comune una semplice richiesta d’inizio attività, invece della più complessa autorizzazione regionale. Di più. Il pm ipotizza anche che in alcuni casi Romero abbia falsificato la data di fine-lavori per rientrare nei limiti temporali (dicembre 2010) e riscuotere così i quattrini.

L’indagine si alza di tono. Il 19 settembre 2013 scattano gli arresti per truffa e associazione a delinquere. Finiscono in carcere Buglisi, Saija e alcuni manager della Suntech: tutti, tranne Romero, che se ne sta a Shanghai. Nonostante il suo legale assicuri che «si presenterà in tribunale a tempo debito per difendersi da accuse ingiuste», l’uomo di fiducia di Shi è considerato latitante.
Ghizzardi è sicuro. Senza il suo intervento sarebbero stati dilapidati almeno 300 milioni di euro in 20 anni. Gaetano Buglisi, poi rilasciato dal tribunale del riesame insieme agli altri, contesta: «Ho venduto le aziende e i permessi per la costruzione degli impianti nel 2008. Perché dovrei passare per membro di un’associazione criminale con persone che a malapena conosco? Sono stato perseguitato 45 mesi per un reato che non ho commesso». Saija ha preferito non commentare. In una e-mail del suo avvocato, Romero sostiene: «Il denaro non è stato concesso illegalmente, non è sparito, ma reinvestito in Italia». Ma, più che temere i provvedimenti italiani, Romero teme la reazione di Shi. Che con lui se l’è presa per la vicenda dei bund, risultati in seguito inesistenti, citandolo in giudizio, sia pure solo civile, prima a Londra e poi a Singapore.
I legali di Suntech, inseguendo i responsabili della frode finanziaria, dichiarano in tribunale a Singapore che Romero usava la Gsf Capital, una delle protagoniste dell’avventura pugliese, come una cassa personale per alimentare un “tenore di vita dispendioso”. Rincarando la dose, lo accusano anche di avere sottratto ben 16,8 milioni di euro dal Gsf, cifra destinata a pagare le commissioni annue dovute a una finanziaria inglese per l’”affitto” dei famosi bund.

PATTI PRIVATI Non sono un truffatore, si è difeso Romero, sostenendo di essere la «principale vittima» dell’imbroglio e di essere stato ingannato a sua volta da un gruppo di broker di varie nazionalità. Poi, il colpo di scena. Nel marzo 2013 Romero e la Suntech raggiungono un accordo stragiudiziale: la Gsf Capital rinuncia alla sua quota azionaria nel Global Solar Fund. Per quanto incredibile, pace è stata fatta. In una e-mail il legale di Romero scrive che «la questione dei cosiddetti bund falsi è stata chiusa», senza nessuna responsabilità riconosciuta al suo assistito.

E la Suntech? Alla fine dell’anno scorso è stata messa in liquidazione alle Caymans. L’ufficio stampa non dice una parola, né sui procedimenti in corso, né sull’utilizzo dei paradisi fiscali.
A Brindisi il pm Ghizzardi aspetta Romero e gli altri imputati alla prima udienza del processo a fine marzo. Ma si rende conto che, anche se lo vincerà, sarà difficile recuperare i 3,5 milioni di euro che mancano all’appello rispetto ai 6,5 stanziati perché i manager del Global Solar Fund lussemburghese possono spostarli da un paradiso all’altro.

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