Nel piccolo Stato l’interruzione volontaria della gravidanza è ancora punita con la reclusione fino a tre anni. Ora, sostenuta dalla maggioranza di centrosinistra, arriva una legge per legalizzarla. Ma il Paese si spacca

Statistiche ufficiali non ce ne sono. Ci sono però le stime dei medici, che confermano una costante emigrazione sanitaria. “Si ritiene che ogni anno almeno una ventina di donne sammarinesi siano costrette a  varcare il confine per abortire a loro spese in una clinica privata estera”, dice Marina Lazzarini, deputata del gruppo di Ssd, Sinistra socialista democratica,  che a San Marino, insieme al movimento Civico 10 e a Repubblica Futura, si batte perché il piccolo Paese consegni definitivamente alla storia la criminalizzazione dell’aborto, oggi punito dal codice penale con pene fino a tre anni di reclusione che riguardano non solo la donna che interrompe volontariamente la gravidanza ma anche il medico che l’aiuta.

La Repubblica del Titano, poco più di 34mila abitanti, è uno dei quattro stati europei, insieme a Malta, al Lussemburgo e all’Irlanda, dove l’aborto è ancora illegale e consentito in un solo caso: il reale pericolo di vita della donna. Ora, con un progetto di legge di iniziativa popolare presentato da Valeria Muratori, di Sinistra Unita, il Governo di centrosinistra cerca di archiviare i due articoli del codice penale che dal 1974 prevedono la prigionia.

L’obiettivo non è solo quello di legalizzare l’aborto. Il disegno di legge prevede anche l’introduzione nei programmi scolastici dell’educazione sessuale e la creazione di una rete di consultori, che adesso non esistono.  Una vera e propria rivoluzione. E il Paese è spaccato.

Da un lato c’è la maggioranza di governo, che tra SSD, Civico 10 (che esprime anche il ministro alla Sanità) e Repubblica Futura può contare su 35 seggi su un totale di 60 nel Consiglio grande generale, il Parlamento di San Marino. Dall’altra parte della barricata ci sono i movimenti cattolici e i sostenitori dei partiti di centrodestra adesso all’opposizione, che già dall’anno scorso, prima delle elezioni politiche vinte dalla sinistra, avevano lanciato una  vera e propria offensiva anti-abortista, con manifestazioni davanti alla sede del Consiglio.

La proposta di legge dopo molte peripezie è arrivata all’esame delle due commissioni parlamentari interessate, quella della Salute e degli Affari sociali e quella dei Diritti. Ma la maggioranza sa che l’iter è lungo e che ci vorranno ancora almeno altri sei o sette mesi di discussione prima che, esaminata, la nuova normativa possa essere rinviata al Consiglio per l’approvazione.

Il vero timore è che in questo lasso di tempo compromessi e mediazioni, per cercare un accordo con i cattolici e soprattutto con la Diocesi di San Marino -  ancora molto influente nel piccolo Stato -, possano snaturarla, con emendamenti che limitano la libertà della donna. La prova che per il nuovo Governo la battaglia non sarebbe stata facile si era già avuta l’anno scorso, con la presentazione di cinque istanze d’arengo, richieste di gruppi di cittadini rivolte ai Capitani Reggenti, che rappresentano la massima carica istituzionale del Paese, equivalgono infatti al presidente della Repubblica.

Di quelle cinque richieste ne sono rimaste in piedi solo tre, quelle approvate dal Consiglio, che prevedono la depenalizzazione in caso di stupro, di rischi per la salute della donna e di gravi malformazioni o patologie del feto.

Sono state bocciate invece le istanze che chiedevano la legalizzazione dell’aborto in caso di minore età o di situazioni di particolare disagio economico e sociale. Un pronunciamento, mentre si susseguivano le manifestazioni degli antiabortisti, che ha dato la misura dei tanti paletti fissati dalla precedente maggioranza per evitare uno scontro aperto con i cattolici. Il confronto sulla legge dovrà riguardare anche l’obiezione di coscienza. “In questo caso uno spunto arriva dalla Svezia – spiega Marina Lazzarini – con il divieto per la pubblica amministrazione di assumere ginecologi obiettori”.

Se dovesse passare questa impostazione la maggioranza riuscirebbe anche dribblare gli ostacoli che in Italia in molti casi condizionano l’applicazione della legge 194. Per ora la strada verso la depenalizzazione, in un Paese che fino al 2004 considerava un crimine anche l’omosessualità, è ancora tutta in salita. “Ma San Marino è uno Stato laico – aggiunge Lazzarini – e deve garantire tutti. Dobbiamo riuscire a far comprendere che questa legge non è uno strumento di controllo delle nascite ma, al contrario, di responsabilizzazione”.