Una sfida bizzara quella dello scrittore inglese nel suo ultimo romanzo: dialogare con se stesso in un ventre materno. Così la sua ultima opera dona al lettore riflessioni sull’arte, ?sul vino, sulla politica, sull’oggi

Premessa: considero Ian McEwan (1948) uno dei più grandi scrittori di oggi. Alcuni suoi romanzi (“Il giardino di cemento”, “Cortesie per gli ospiti”, “Bambini nel tempo”, “Espiazione”) sono, credo, fra i libri che il nostro tempo consegnerà alla storia della letteratura. Come non bastasse, McEwan è un uomo adorabile, intelligente e pieno di umanità - l’esatto opposto del letterato trombone. Si sarà insomma capito che sono un suo ammiratore, categoria da cui è sempre bene guardarsi se non altro perché tende a coltivare aspettative spropositate.

Ciò detto, ho divorato in poche ore l’ultimo romanzo dello scrittore inglese: “Nel guscio” (Einaudi, traduzione di Susanna Basso, pp. 173, € 18). Dirò subito che il testo mi è parso una sfida bizzarra e a suo modo geniale (a se stesso, oltre che al lettore).

Si tratta infatti di un lungo monologo pieno di sense of humour, di riflessioni sui nostri tempi scalcinati, sull’arte, il vino (molto vino) e la politica, pronunciato da un feto nel ventre materno. Il quale, come un moderno ed estremo Amleto, assiste impotente benché del tutto consapevole alle trame omicide fortemente etiliche della madre Trudy e del suo amante, lo zio Claude, ai danni di un padre forse debole, forse mediocre, o forse soltanto innamorato - John Cairncross, poeta di non eccelse doti ma generoso e perciò votato a perire.
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Il piccolo e onnisciente nascituro segue lo svolgersi del piano assassino con un misto di orrore e ansiosa partecipazione: bene o male, si sente comunque parte del corpo e dell’anima materni, che a ogni modo lui ama di un amore precedente a ogni caduta di gusto psicoanalitica. Fino al punto, nella scena finale, di decidersi a intervenire senza mezzi termini nel cuore della tragedia, guadagnandosi (letteralmente) con le proprie mani un ingresso in scena in lieve anticipo sui tempi stabiliti dalla natura, ma di certo memorabile.

Lo dirò con semplicità: “Nel guscio” non appartiene alla produzione migliore di McEwan. A tratti, la trovata del feto parlante (o meglio, “meditante”) rischia di scivolare nella comicità involontaria. Tuttavia, non si può essere sedotti dalla superba, estrema maestria con cui l’autore orchestra un romanzo colto, insolito e di gradevole lettura, là dove altri, dotati di talento ordinario, avrebbero fallito dopo un balbettio di poche righe.