Il virus che mina il nostro futuro democratico è dentro di noi. L’antidoto è smettere di “somigliare” al popolo e riprendersi la responsabilità di “rappresentare” il popolo
Milan, non la squadra di pallone, come penserebbero i troll sui social sommergendoti di insulti, bensì Kundera (scrittore ceco, classe 1929 #sapevatelo) racconta che, tanto nelle dittature quanto nelle democrazie, l’uomo è sotto il peso, insostenibile appunto, della scelta. (Qui il troll direbbe: non ci fanno più scegliere niente #politiciladroni). Kundera tentava di dire, invece, che libertà e costrizione confinano. Così come il troll e la realtà. E spetta a noi trovare quel confine, distinguerli, perché altrimenti più una si allarga, più l’altra si ritrae. (Qui si ritrae solo lo stipendio #politiciladroni). Ecco perché immaginare la democrazia in crisi per colpa dei troll, virtuali o umani che siano, è cercarsi l’alibi a omicidio compiuto. E pure l’alibi più facile da smontare per l’investigatore per eccellenza, lo Sherlock Holmes della democrazia: l’elettore.
Ciò che accade là fuori è il contrario. Sentiamo l’insostenibile leggerezza dell’essere (#Kundera1984), ma dell’essere democratico. La sentiamo perché siamo noi i distruttori della democrazia. Costretti ad affidarci al Macron di turno per dire che tutto tornerà a posto e tirare un sospiro di sollievo, ben sapendo che domani è un altro giorno (#viacolvento).
Proviamo a rovesciare il discorso. Cos’è la democrazia della rappresentanza? Che scelta comporta? Quella della delega politica. Una scelta che oggi sembra al tempo stesso leggera eppure insostenibile. È leggera perché là fuori se ne sentono talmente tante che i cittadini possono pensare #unovalelaltro. È insostenibile perché, se sei democratico, sai che c’è un assioma difficile da affermare in quest’era: io accetto che vi sia una differenza fra delegato e delegante, una differenza fra eletto ed elettore. Differenza che non può mutarsi mai in privilegio (#abbassolacasta) e muta nel tempo, adottando regole e costumi in sintonia con la comunità. Ma che non può nemmeno essere cancellata, né sostituita con altro. Come invece i partiti stanno facendo, ripetendo al popolo che #iosonocomevoi e sentendosi rispondere fra i fischi #politiciladroni.
Fare questo favore al troll, significa trasformarlo in un vero e proprio movimento di idee. Un Trollkismo che stavolta vince dove Trotsky non vinse, fiorendo in tutto il mondo al posto delle democrazie. E proprio nell’istante del maggiore pericolo. Significa inseguire i populismi sul loro terreno, che non è promettere tutto e il contrario di tutto, bensì illudere chi resta a casa che in verità sta seduto in parlamento. E che potrebbero scambiarsi di posto. Il virus che mina il nostro futuro democratico è dunque dentro di noi. Un diavolo in corpo (#Radiguet1923). L’antidoto è smettere di “somigliare” al popolo e riprendersi la responsabilità di “rappresentare” il popolo. Oggi non accade. Ed è la ragione per cui, semmai qualcuno vince dentro le vecchie regole della democrazia, anziché considerarlo normale, proviamo invece quello strano senso di leggerezza dell’essere democratico. Di fatalità. Di speranza, ma non di certezza del domani. Dobbiamo tornare alla insostenibile ma necessaria scelta continua che pretende una #democrazia. Pena: affidarci all’autoritarismo. Come Ezio Mauro ci racconta questa settimana sull’Espresso.
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