La direttrice del secondo canale pubblico ?ha puntato, a parole, sull’innovazione. Di fatto, invece, il palinsesto ha deluso

Rai2, a modo suo, è una rete straordinaria. Altro che quel gerontocomio catodico di Rai1, dove si tenta si sfuggire alla mannaia del già visto e sentito proponendo fiction ottime come la recente Maltese. E tutt’altra categoria, anche, rispetto a Rai3, sempre impegnata con aria secchiona a investigare il mondo operaio, la realtà dei diritti civili e la politica distante dalla pastoia capitolina. Che noia, malgrado il caos comico di questa fase, queste due realtà di viale Mazzini. Che stucchevole coerenza con i loro pubblici di riferimento.

Rai2 no. Fin dal primo giorno in cui Ilaria Dallatana ha occupato la poltrona da direttore, è stata tutta una promessa d’innovazione; per non dire rivoluzione, parola poco chic e troppo impegnativa per la nostra tele-patria. Un salto verso il futuro più volte evocato nel corso del suo mandato anche da Antonio Campo Dall’Orto, che in quel tasto due carico di prospettive vedeva la sintesi di una Rai più sveglia, intraprendente, ebbra di entusiasmo malgrado tutto e tutti.

Bagliori. Suggestioni. Auspici che chiunque avesse tra le sue consuetudini forzate il pagamento del canone non poteva che condividere. Dopodiché sono arrivati i fatti, troppo spesso bui come le notti di un tempo in campagna. Da parte sua Dallatana ha continuato a teorizzare il meglio, spacciando per gustoso il nettare del suo palinsesto, ma darle ragione è diventato sempre più difficile. Si pensi, adesso che la stagione è in fase di dismissione, a titoli offerti come Boss in incognito (dove i titolari delle aziende, avvolti da perenne odore di finzione, hanno spiato in prima persona i lavoratori), Rai dire Niùs (in cui si è riusciti a sprecare in un colpo solo sia la Gialappa’s Band, ai minimi storici in questo caso della loro creatività, sia un fuoriclasse come il Mago Forest su cui è gravato l’intero peso dell’operazione), o ancora a Sbandati, format straniero di analisi sarcastica della televisione condotto più che bene da Gigi e Ross (oltre che dal sostituto part-time Costantino della Gherardesca), ma con un cast di opinionisti in studio inadeguato all’impresa.

Nessun reato grave, in fondo. Ma anche una distanza marziana, a Raidue, tra un vero passo avanti e i tanti passi laterali compiuti (tra i quali è obbligatorio citare Il collegio, reality targato Magnolia - dove in passato lavorava la direttrice Ilaria - e girato a Celano in provincia di Bergamo dove oggi è sindaco il suo ex capo Giorgio Gori). Certo: se poi in assenza di novità applaudibili si osanna La porta rossa come fiction delle meraviglie, allora tutto è possibile. Persino evocare lo show di Mika come qualcosa di epico, mentre in realtà ha aderito - salvo rari momenti dettati dalla qualità oggettiva dell’artista - ai protocolli della modestia. E così pure si può sostenere che la straordinaria imitatrice Virginia Raffaele, con il suo Facciamo che io ero, abbia srotolato al mondo una completezza tipica della show-woman. L’ennesimo, veniale falso targato Rai2.