Lo scorso anno le vittime di femminicidio sono state 120. Sette milioni di donne hanno subito qualche forma di violenza nel corso della loro vita. L'analisi dell'Istat e del Ministero della Giustizia ci mostra i numeri di un massacro che non si arresta nonostante la legge del 2013. E intanto i centri antiviolenza chiudono i battenti
In Italia ogni due giorni una donna viene uccisa. Solo lo scorso anno sono state 120 le vittime ammazzate da un marito, fidanzato o convivente.
Per capire il fenomeno abbiamo dato uno sguardo ai dati aggiornati, presentati nell’indagine condotta dall'Istat in collaborazione con il Ministero della Giustizia.
Il fenomeno resta di enormi proporzioni e i numeri parlano chiaro:
quasi sette milioni di donne hanno subìto qualche forma di abuso nel corso della loro vita. Dalle violenze domestiche allo stalking, dallo stupro all'insulto verbale, la vita femminile è costellata di violazioni della propria sfera intima e personale. Spesso un tentativo di cancellarne l'identità, di minarne profondamente l’indipendenza e la libertà di scelta.
Il tragico estremo di tutto questo è rappresentato dal femminicidio, che anche se in leggero calo rispetto agli anni precedenti, dimostra di essere ancora un reato diffuso ed un problema che necessita di una risposta non solo giudiziaria, ma culturale e educativa.
E proprio il femminicidio, l’uccisione di una donna con la quale si hanno legami sentimentali o sessuali, rappresenta la parte preponderante degli omicidi contro il genere femminile.
Più dell’82 per cento dei delitti commessi a scapito di una donna, nel nostro paese, sono classificati come femminicidi. Un numero gigantesco: oltre quattro su cinque.
Gli autori di femminicidi nella maggior parte dei casi hanno una fascia di età compresa tra i 31 e i 40 anni, seguita da quella che comprende un'età tra i 41 e i 50.
Le vittime invece sono più giovani:
a morire per mano dei propri compagni sono per lo più ragazze tra i 18 e i 30 anni.E' da evidenziare come sia in crescita il fenomeno del femminicidio a scapito delle più anziane; aumentano infatti gli omicidi verso donne di età compresa tra i 71 e gli 80 anni.
La dimensione domestica della violenza sulle donne e dell'omicidio che spesso da questi atti di sopruso ne deriva, contestualizza il dato sulla nazionalità di vittime e carnefici.
Nella maggioranza dei casi infatti
la vittima è italiana, solo nel 22 per cento dei casi è straniera, con una larga maggioranza proveniente dall'est Europa.
Lo stesso dato emerge per quanto riguarda il carnefice.
Il 74,5 per cento degli assassini hanno nazionalità italiana.Nazionalità della vittimaNazionalità dell'autore del delittoIl rapporto che lega la vittima e il suo carnefice è nel 55,8 per cento dei casi di natura sentimentale, con una relazione in atto al momento dell'omicidio o pregressa. Il 63,8 per cento evidenzia che la vittima e l'autore sono coniugi o conviventi, il 12 per cento fidanzati e il 24 per cento aveva intrattenuto una relazione sentimentale (matrimonio o fidanzamento) terminata prima rispetto all'omicidio.
Analizzando il modus operandi degli omicidi, emerge un
quadro brutale e primitivo. Secondo le analisi condotte da Istat in collaborazione con il Ministero della Giustizia, si tratta di colluttazioni corpo a corpo dove l'assassino sfoga una rabbia inaudita.
L'arma più utilizzata è il coltello e in più del 40 per cento dei casi le donne vengono colpite ripetutamente, quasi mai con solo due o tre colpi mortali. Nel 15,5 per cento dei casi la donna viene uccisa con oggetti di uso comune: martelli, accette, picconi, rastrelli e impiegati brutalmente fino a renderla esanime.
Più tortuosa è la ricostruzione del movente:
quasi sempre la causa è legata a gelosia e possessione nei confronti della vittima. Spesso, alla base dei dissidi ci sono motivi economici.In alcuni episodi l'uomo uccide la donna perché preferisce la sua morte al mantenimento della relazione o per timore dell'eventuale scoperta di adulterio.
A ottobre 2013 il Senato ha approvato il decreto legge contro il femminicidio. La normativa rientra nel quadro delineato dalla
Convenzione di Istanbul, primo strumento internazionale giuridicamente vincolante sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. L'elemento di novità è il riconoscimento della violenza sulle donne come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione.
La legge approvata, che rientra nel quadro della convenzione di Istanbul, si basa soprattutto sull’inasprimento delle pene e delle misure cautelari. È stato introdotto l’arresto in flagranza obbligatorio per i reati di maltrattamenti in famiglia e stalking. La polizia giudiziaria potrà disporre l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Gli aggressori allontanati dall'abitazione familiare potranno essere controllati attraverso un braccialetto elettronico e in caso di stalking potranno essere disposte intercettazioni telefoniche.
Il nuovo testo prevede l’inasprimento delle pene quando la violenza è commessa contro una persona con cui si ha una relazione, e non soltanto se si convive o si ha un vincolo (recesso o meno) di matrimonio. Le aggravanti sono previste anche quando i maltrattamenti avvengono in presenza di minori e contro le donne incinte.
Se dal punto di vista normativo le cose vanno finalmente dalla parte giusta, dall'altro i centri antiviolenza stanno piano piano chiudendo per mancanza di fondi. Sono decine le associazioni in difficoltà dopo il taglio sociale voluto dal governo Gentiloni lo scorso marzo. Eppure la legge del 2013 sul femminicidio aveva previsto l’erogazione di 10 milioni all’anno per i centri antiviolenza. La prima parte di quel denaro, arrivato già in ritardo di mesi, una volta nelle casse delle Regioni pare sparito. Non vi è traccia e sicuramente non è stato usato per supportare i centri antiviolenza a cui in realtà erano destinati.
Fonte grafici: F. Bartolomeo, "Indagine statistica dalle sentenze di omicidio di donne, 2012-2016" - Ministero della Giustizia