Riforme mancate e riforme continuamente riformate: ecco il doppio lascito della legislatura ormai morente, e chissà se i suoi (pochi) successi non ci procurino più danno dei molti insuccessi. Perché insieme all’inerzia sul fronte dei diritti, la XVII legislatura verrà ricordata per uno sfrenato interventismo sul fronte dei poteri, dell’organizzazione dello Stato. Dove ?al contrario ogni riforma è stata subito scalzata da una controriforma, innescando guazzabugli normativi incomprensibili perfino agli addetti ai lavori.
Insomma, o troppo o nulla: noi italiani detestiamo le mezze misure. Ma nel diritto il troppo pieno coincide con il vuoto, giacché quando le leggi s’inseguono a vicenda, quando ogni legge dura il tempo d’un fiammifero, nessuno sa più dire quale sia la regola vigente, e in conclusione ciascuno fa come gli pare. È la maledizione delle riforme, quelle che ogni ministro annuncia agli italiani non appena presta giuramento. Le prove? Digitando su Google, «riforma della giustizia» offre 582 mila risultati, «riforma della scuola» 467 mila, «riforma della sanità» 757 mila.
Anche le riforme fallite, però, sono una voragine, un pozzo senza fondo. Lo ius soli, per concedere un passaporto italiano a quasi un milione di ragazzi che sono nati qui, che studiano qui, che sperano in un futuro qui. Il testamento biologico. L’introduzione del reato di tortura. La legge sull’omofobia. Quella sulle toghe in politica. Il diritto al cognome. La donazione del proprio corpo alla ricerca. Il codice antimafia. La legittima difesa, appoggiata da oltre due milioni di firme. L’abolizione dei vitalizi. La legalizzazione della cannabis. Il diritto dei figli adottati ?a conoscere i propri genitori naturali. Altrettante proposte di legge allevate dalla legislatura in corso, per poi ucciderle in fasce. Sono invece vive, benché non troppo in salute, le riforme approvate. In materia d’appalti, per esempio: un settore che a quanto pare eccita il nostro legislatore come una pillola di Viagra, con 7 leggi di semplificazione tra il 2008 e il 2014. Per raggiungere l’orgasmo, però, c’è voluto il nuovo codice degli appalti, in vigore dall’aprile 2016 e già oggetto di 18 pareri resi dal Consiglio di Stato. Per forza: il codice fu pubblicato con 181 errori materiali, contemplando 53 decreti attuativi per lo più rimasti nei cassetti di palazzo Chigi (ne mancano ancora 42), mentre in un anno il governo ha modificato 119 dei suoi 220 articoli. Risultato: secondo l’Ance, il valore delle gare bandite è crollato del 75%.
E c’è poi la scuola, anzi la Buona scuola (legge n. 107 del 2015), onore e vanto del governo Renzi; soppiantata dalla Buona scuola bis (8 decreti nel gennaio 2017) sotto il governo Gentiloni. C’è la riforma del processo penale, appena timbrata in Parlamento: 95 commi, 6 maxideleghe che probabilmente resteranno sulla carta, dato che l’esecutivo è al capolinea, mentre il prossimo governo chissà che Grilli avrà nel capo. E c’è infine la riforma amministrativa, un ritornello che ci insegue dal febbraio 1918, quando venne istituita la prima Commissione per la semplificazione burocratica.
Per raccogliere questa secolare eredità, la riforma Madia muove dalla legge n. 124 del 2015, che a sua volta è uno zibaldone: in parte dispone (attraverso modifiche al procedimento amministrativo), in parte delegifica (con l’articolo 4 sulla semplificazione), in parte delega (e le deleghe sono ben 14). Ne è scaturito un processo normativo ancora in corso, che però ha già reso il nostro ordinamento più affollato della metropolitana di Tokyo. Nell’ordine: 15 decreti legislativi pubblicati in Gazzetta ufficiale; 5 schemi di decreto bollati dalla Ragioneria generale dello Stato; un decreto presidenziale; 2 decreti decaduti in seguito alla sentenza costituzionale n. 251 del 2016; 2 decreti correttivi; 4 decreti approvati in esame preliminare; 4 intese su ulteriori provvedimenti raggiunte in Conferenza unificata o in Conferenza Stato-regioni.
Da qui un moto di disperazione, giacché l’eccesso di diritto costituisce la negazione dei diritti. Ma da qui altresì una prece rivolta ai prossimi ministri: per la riforma delle vecchie riforme, chiedete ai vostri uffici d’usare una gomma, invece dell’inchiostro.