L'ultima fatica del regista di Interstellar e della trilogia di Batman ne conferma la forza e ii limiti di autore

Le accoglienze della critica straniera sono entusiastiche; eppure “Dunkirk”, l’opera più ambiziosa di uno dei registi contemporanei di maggior prestigio (tre “Batman”, “Memento”, “Interstellar”), conferma la forza ma anche i limiti del suo cinema. A Dunkerque, sul passo di Calais, nel maggio 1940 le truppe alleate si trovarono chiuse in una morsa dai tedeschi. Ma l’operazione di salvataggio messa in piedi dalla marina inglese, mobilitando anche migliaia di imbarcazioni private, portò al di là della Manica 340mila soldati, e le sorti della guerra rimasero aperte (qualche giorno dopo i nazisti entravano a Parigi, per cui i francesi hanno della ritirata una visione meno eroica).

Come sempre capita, ogni Grande Film di Guerra si presenta come il Film di Guerra Definitivo (Malick, Spielberg, e più indietro Kubrick, Coppola...). In questo caso cercando di coniugare illusione realistico-documentaria e grande spettacolo, in un racconto film corale, che moltiplica i punti di vista, e si concentra sul campo, ma senza mostrare mai i nemici né le morti.
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Il senso ultimo di questa operazione che può sembrare folle e anacronistica, però, è forse la nostalgia del cinema e del ’900, spettacolo di masse mostrate ad altre masse. Cinema e guerre di massa nascono fratelli, e in un’epoca in cui il senso del cinema sbiadisce, “Dunkirk” è l’apologia non solo dell’eroismo di un popolo, ma del senso di un cinema: non a caso Nolan ha rifiutato in gran parte gli effetti digitali e ha girato in pellicola (65mm). Eppure a tratti l’ansia di mostrarsi Autore va contro il film stesso.

Le musiche di Hans Zimmer stancano subito, e la trovata di seguire parallelamente tre diverse linee temporali (un a settimana, un giorno, un’ora prima dell’ora X) è in fondo gratuita. Alla fine, “Dunkirk” si apprezza meglio quando le ambizioni sono meno esposte, come puro, avvincente film di guerra: certe scene di catastrofe, panico e tensione; l’episodio del gozzo con a bordo un attore immenso, Mark Rylance; il montaggio parallelo finale tra l’atterraggio dell’ultimo aereo e il discorso di Churchill (versione aggiornata del monologo shakespeariano di Enrico V ad Azincourt).