
Professor Santagata, si è passati dalla poesia di nicchia alla poesia ?di massa su Instagram. Cosa ne pensa?
«Oggi assistiamo a un rovesciamento. Ai primi del Novecento i poeti ?si vergognavano di essere tali. Con l’affermarsi della società borghese, ?la grande poesia diventa programmaticamente anticomunicativa, come dimostra Mallarmé. Gli autori delle avanguardie, quella storica e le successive, si sottraggono alla mercificazione, scrivono testi ai limiti dell’illeggibilità. Oggi invece esibiscono i propri sentimenti, li danno in pasto al pubblico sui social network. E creano un gergo di massa, che ambisce ?a essere letto e compreso. Per raggiungere questo obiettivo usano ?un linguaggio complicato, ma senza una grande ricerca».
È la fine della funzione sociale della poesia?
«Fin dalle origini, la poesia era sempre stata un atto di comunicazione, ?non un fatto puramente estetico. Nel Medioevo si trasmetteva un’ideologia nobiliare in tutta Europa. E nei secoli successivi, fino al Settecento, attraverso le poesie si comunicava il galateo. Durante la prima guerra mondiale, poi, ebbe un grande successo la poesia legata al conflitto bellico, ai ricordi di guerra.
La poesia aveva ancora una chiara funzione sociale. Adesso dalla socializzazione dei contenuti si è passati alla condivisione dell’intimità».
Ma Petrarca già nel Trecento rompe con questo schema, è il poeta dell’interiorità e dell’amore.
«Certo, ma Petrarca parla d’amore perché parla anche d’altro. Il suo è un discorso generale sulla passione, che quando è eccessiva diventa nemica della razionalità. L’amore che obnubila, spossessa e rende l’individuo schiavo di altri. Oggi gli autori non tentano di generalizzare, restano confinati nel proprio io».