Apre a Londra la mostra-evento nella galleria Nahmad Projects. Il curatore: «E’ stato l'unico che, in ipotetiche Olimpiadi dell’arte, l’Italia potrebbe far scendere in campo contro un Rothko e un Picasso. E vincere»

Si è appena chiusa la sua mostra alla Fondazione Prada dove Francesco Vezzoli, artista&curatore, racconta a suo modo la Rai (“TV/70: Francesco Vezzoli guarda la Rai”) che eccolo di nuovo dietro le quinte. Regista questa volta, di un “solo show” a Londra con un protagonista, difficile da dirigere: l’immenso Giorgio De Chirico. Il quale, insieme a Raffaella Carrà, Patti Pravo e Adriana Asti, è per Vezzoli un imprescindibile punto di riferimento.

Perché, come spiega, lui De Chirico lo ama tutto: «Quello metafisico e quello barocco, le sue risposte burbere a chi lo intervista per la Rai, il suo atteggiamento trombone quando siede al caffè Greco per farsi riverire, la sua casa di piazza di Spagna dove andrei a vivere subito, anche il suo concedersi al mercato allora ben più innocente di adesso… Ma quello che amo di più, in assoluto, sono i “soli elettrici” dell’ultimo periodo, quando dalla critica ufficiale veniva considerato ormai bollito, e invece per me era grandissimo e anticipava persino il gruppo Memphis e il post moderno».

Per rendere degno omaggio al “pictor optimus”, Vezzoli costruisce una messa in scena in grado di sostenerne il genio. Cinquanta metri lineare di pittura murale affidata alle agili mani di giovani restauratrici, che riproducono fedelmente in scala massima una “Piazza d’Italia” restituendo la Metafisica in effetto 3D.
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Succede dal 28 settembre e fino al 15 dicembre a Londra, nella galleria Nahmad Projects, aperta lo scorso anno dal 27enne Joseph Nahmad (dinastia di collezionisti e art dealer) in collaborazione con il coetaneo Tommaso Calabro (già attivo in Sotheby’s). Un luogo sui generis che più che mostre propone progetti immersivi e inaspettati, dialoghi fra maestri del passato e protagonisti del presente.

Come nella recente mostra di Mark Rothko e James Turrell dedicata al silenzio. Qui invece siamo in una scena di conversazione o meglio di “Metafisica da Giardino” (come da titolo). Onirico allestimento che trasforma l’intera galleria grazie a un verde pavimento erboso e all’ apparire, tra gli ingigantiti archi del colonnato dipinto, di alcuni veri capolavori del maestro provenienti da grandi collezioni (Tret’jakov compresa): “Filosofi greci” del 1925, “Gladiatori” del 1928, “Bagni misteriosi” del 1974 e “Soli sul cavalletto” del 1968.

«È Pittura. Maiuscola e assoluta. Come il “bel canto” per la Callas. De Chirico ne era consapevole e si poteva permettere frasi sprezzanti come “Apollinaire mi ha copiato”; “È evidente che l’arte astratta fa schifo” o battute warholiane: “Se esco e mi chiedono autografi mi infastidisco, ma se non me li chiedono mi infastidisco di più”. A dimostrazione che ben prima di Warhol lui puntava a trasformarsi in brand, autonomo e autoctono».

Dal curatore&artista solo una scultura, “Muso dell’antichità”: «gesto dovuto, un omaggio dal momento che il rapporto con la classicità è qualcosa in cui ci arrabattiamo tutti e due. Ma è lui il protagonista assoluto. L’unico artista che, in ipotetiche Olimpiadi dell’arte, l’Italia potrebbe far scendere in campo contro un Rothko e un Picasso. E vincere». Parola di Vezzoli.