Non chiediamoci cosa cambiano per l’Italia le vittorie di Macron e Merkel, ma piuttosto cosa cambierebbe in Europa dopo l’esito incerto del voto italiano nel 2018
Come era già capitato con la Francia, quando Macron aveva scatenato tali profluvi di commenti che qualche distratto poteva pensare che le presidenziali si fossero svolte in Italia, anche il voto tedesco ha scaldato gli italiani più di quanto sia avvenuto in Germania. Come nelle barzellette, abbiamo incoronato il novello Napoleone di Francia (con poco più di un quarto dei voti d’Oltralpe) a “diga democratica”, cercando un imitatore nostrano.
Poi abbiamo dato per sconfitta Angela Merkel (al quarto mandato con oltre il 30 per cento dei voti e due maggioranze possibili) rilanciando la Grande coalizione italica, foriera di errori e disastri politici ormai dal lontano 2011. Insomma, abbiamo fatto all’italiana, come raccontiamo in questo numero, spiegando agli altri le loro magagne e non rendendoci conto che, alla fine, la risata scatta sempre quando nel racconto arriva il nostro turno. E sarà una risata macabra, perché l’Italia - per come si stanno mettendo le cose - rischia di restare con il cerino in mano. Sola con i suoi problemi strutturali, con i suoi ritardi, con un allarme immigrazione che il ministro Marco Minniti ha sedato con un’anestesia. Ma che - senza interventi europei strutturali - durerà pochi mesi. Per ripresentare la ferita aperta alla vigilia del voto.
[[ge:rep-locali:espresso:285296883]]Proviamo a uscire dalla barzelletta e rovesciare l’analisi, facendoci la domanda opposta a quella che tutti si fanno: non chiediamoci cioè cosa cambiano per l’Italia le vittorie mutilate di Macron e Merkel, ma piuttosto cosa cambierebbe in Europa dopo l’esito incerto del voto italiano nel 2018. Quattro fattori ci mostrano che noi stiamo messi molto peggio di loro. L’Italia ha già bruciato (o almeno ustionato) il suo Macron, che si era presentato trionfante nel 2014 sotto il nome di Matteo Renzi. Al tempo stesso ha affossato il tentativo, seppur maldestro, di un sistema maggioritario che garantisse un governo “omogeneo” all’indomani del voto, come in Francia. Non bastasse, ha sposato un sistema proporzionale solo all’apparenza simile a quello tedesco, perché privo del nucleo politico necessario a farlo funzionare: la capacità di alleanza, all’indomani del voto, fra partiti rivali senza choc per l’elettore. Questi elementi, mescolati insieme, ci dicono che - se qualcosa non cambierà al più presto - gli unici scenari possibili dopo il voto italiano saranno la non governabilità (baratro per le nostre speranze di ripresa economica e pace sociale), piuttosto che un’alleanza artificiale fra avversari storici, il Pd di Renzi e Forza Italia di Berlusconi: a parole una Grande coalizione, nei fatti un piccolo inciucio inspiegabile ai cittadini. E che genererebbe una disaffezione a sinistra senza precedenti.
Se già il microscopico Alfano è in grado di porre veti su temi sostanziali come lo ius soli per pura finalità elettorale. C’è poi un quarto elemento che ci distingue in peggio. Il Fn di Le Pen e Afd hanno scatenato - pur con un exploit elettorale - una reazione, una sorta di diga etica, di trincea democratica in una parte degli elettori. In Italia il populismo è ormai norma, accademia, in quanto abbiamo subito una cura omeopatica per tutto il ventennio berlusconiano, finendo per diventare immuni all’antidoto. E rischiando di proporlo al governo, come la destra tenta di fare, camuffato da forza democratica ed europeista. Cosa può fare la sinistra? Ambire a un progetto più alto di quello che il Pd sta inseguendo: la prospettiva di un’Europa politica e non più solo economica, da opporre ai modelli monocratici come Russia, Cina e gli Stati Uniti di Trump. Per farlo l’Italia deve ottenere dei segnali subito. E pretendere che si accelerino (e non rallentino) le riforme in tema di economia, difesa e migranti. Un forte segnale che deve arrivare prima delle politiche. Operazione, questa, che per Gentiloni è dirimente se vorrà immaginare una sinistra che partecipi al prossimo governo italiano.
Per farlo, il Pd deve uscire dall’angolo. Si ha infatti la sensazione di una rissa collettiva fra “simili” che lascia immaginare come unica prospettiva post voto la surreale alleanza con i “diversi”. La versione italica della Grande Coalizione, un non-governo de vastante sul piano dell’appeal elettorale e politico. Se davvero sarà questo il tema fantasma della campagna elettorale, cederemo voti a destra e grillini, con un finale da barzelletta: Mattarella rispedirà a Palazzo Chigi la destra che credevamo sconfitta nel 2011. E che, nel frattempo, ha mutato natura, in peggio.
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