Incredibile: in Sicilia c'è un posto dove comanda Alfano
Bronte, i pistacchi, Angelino: ecco dove i centristi possono essere decisivi. Per conquistare l’isola (con il Pd) e contare nella capitale. Il sottosegretario Castiglione e il suocero del ministro sono degli acchiappavoti: così Ncd-Ap moltiplica per sei i consensi nazionali
L’onorevole è categorico: «No, macché, credo che nessun partito possa più costruire il proprio futuro su base clientelare! Il mondo è cambiato: la crisi, la richiesta di maggiore specializzazione, i rapporti diretti tra le aziende e tanti giovani brillanti che cercano un’occupazione: quali risposte spicciole individuali vuole che dia ormai la politica! Negli ultimi 24 o 36 mesi non c’è un’impresa alla quale io abbia telefonato per chiedere “per favore prendimi a lavorare questa persona”».
Accipicchia, davvero la fine di un’epoca. Per la Sicilia, poi! Eppure la fonte è in merito sicuramente competente: Giuseppe Castiglione, deputato di Alternativa popolare, l’ex Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, sottosegretario alle Politiche agricole con Letta, Renzi e ora Gentiloni. Suo suocero è il senatore (anche se Palazzo Madama l’ha lasciato nel 2013) Pino Firrarello: l’uomo il cui ragguardevole e finora inalterato pacchetto di voti ha, come lui stesso rivendica, «complessivamente aiutato a diventare parlamentari ben undici persone: l’eurodeputato La Via, il senatore Sudàno, il senatore Gibiino, mio genero, naturalmente, e vari altri...».
Di Angelino Alfano, da quando nell’aprile 2013 lasciarono anche loro il Pdl per fondare Ncd, Firrarello & Castiglione sono la base della piramide, il radicamento sul territorio, la rete di relazioni, la cassaforte dei consensi nella vasta area del catanese che ha come epicentro la città di Bronte, dove il senatore è stato sindaco per quattro mandati e dove tuttora vivono lui e suo genero. Voti sicuri, per il ministro ieri degli Interni e oggi degli Esteri: alle ultime europee addirittura in percentuale quasi doppia della Agrigento che ad Angelino ha pur dato i natali e il seggio. Sei volte più che su scala nazionale, per capirci. Dieci volte tanto a Mineo, la città del Cara di cui Castiglione era commissario nel 2011 e per il quale è tuttora sotto processo con l’accusa di turbativa d’asta negli appalti sulla gestione del centro immigrati: accuse dal Luca Odevaine di Mafia Capitale da lui chiamato come esperto («con la gestione degli immigrati si sono fatti il partito»), messe in dubbio da un’intercettazione in carcere dello stesso Odevaine («se lo incastro mi hanno promesso il patteggiamento a Catania»).
Volete decifrare l’intricata partita delle elezioni per l’Assemblea regionale siciliana del 5 novembre che stanno modellando i giochi per le politiche 2018, Renzi e Alfano e Leoluca Orlando che candidano il rettore di Palermo Fabrizio Micari, gli scissionisti Mdp e Sinistra italiana che mandano all’aria il centrosinistra pur di non allearsi con gli alfaniani, il centrodestra che si ricompatta e i Cinquestelle che si fregano le mani? Tocca venire qua a Bronte. Poco meno di ventimila anime alle pendici dell’Etna. Un dedalo di viuzze che si arrampicano senza una riga diritta tra le case vecchie e nuove e alcuni storici palazzi. La “città del pistacchio”, che qui cresce speciale per via del terreno lavico e negli ultimi tempi è business per chiunque abbia un appezzamento, un raccolto ogni due anni proprio in questi giorni, e pazienza se a detta degli stessi brontesi la produzione locale non basta a coprire neanche un terzo di tutto quello che gira per il mondo come pistacchio “di Bronte”.
Nella storia della città, il venerabile Ignazio Capizzi teologo del Settecento che santo non divenne mai e vedremo perché; l’abbazia già condotta dal Borgia futuro papa che poi l’ammiraglio Horatio Nelson primo duca di Bronte trasformò in castello pieno di quadri di battaglie navali ma dove non venne mai; la rivolta contro i latifondisti nel 1860 in nome di Garibaldi repressa nel sangue da Nino Bixio, vice dell’eroe dei due mondi.
Nel centralissimo palazzo del Venerabile Capizzi accanto al liceo dallo stesso nome, la targa recita “Democrazia cristiana, sezione Luigi Sturzo”. Dentro, alle pareti, Padre Pio da Pietralcina tra Moro e don Sturzo e “La S.V. è pregata di intervenire all’Assemblea di sezione del Partito Popolare che avrà luogo etc. Bronte, li 1920”. «Sì, è la mia segreteria da 35 anni, ma io sempre democristiano sono stato e sono, vede forse altri simboli qua dentro?», ti spiega gustandosi il suo mattutino gelato al pistacchio il senatore Firrarello. In giro per il paese tra passanti e negozianti t’hanno raccontato («pe’ ssentito dire, dottore, io tutto sulle mie spalle tengo») che «all’aeroporto di Catania ha piazzato mezza Bronte», e così all’Eni, ché qua da cinquant’anni si estrae metano, e nei lavori a gara d’appalto per strade e infrastrutture, e anche all’Ospedale Garibaldi di Catania, per la cui costruzione finirono a processo Castiglione, assolto, e Firrarello, allora assessore regionale alla Sanità e senatore Dc, condannato in primo grado poi prescritto, il cruccio della sua vita, ha scritto nell’autobiografico “Un contadino al Senato”. Posti di lavoro a pioggia? «Se uno viene a chiedermi una cosa e io la posso fare, la faccio, se non posso rispondo mi dispiace. Io una bugia non l’ho detta mai. Le persone mi conoscono. L’ultimo manifesto elettorale l’ho stampato nel ‘91, da allora neanche un facsimile, non ce n’è bisogno...».
Contadino povero, al Dazio alle riscossioni, consigliere, sindaco, deputato regionale e assessore alla Sanità, un crescendo fino al Senato della Repubblica. Martinazzoli «sfascia la Dc», lui va nel Cdu con Buttiglione, «bravo filosofo ma politico sbagliato», finché nel ‘99 Gianfranco Micciché, proconsole di Berlusconi in Sicilia, lo convince a entrare in Forza Italia. È qui che conosce Angelino Alfano, all’epoca solo deputato regionale: «Un ragazzo, ma in un’assemblea che non brillava più di grande luce lui aveva linguaggio forbito e idee nuove. In seguito io lo vedevo a Roma, ma il rapporto s’è sviluppato soprattutto tramite mio genero». Quando nel 2013 Berlusconi fa cadere il governo Letta, «scelta irresponsabile e inaccettabile», non hanno dubbi: lui e Castiglione se ne vanno dal Pdl, e da allora «Alfano diventa il mio riferimento chiave, ci sentiamo quattro o cinque volte al mese, a Bronte sarà venuto sei o sette volte in tutto. Su una cosa sola non sono mai stato d’accordo: quel “centrodestra” nel nome. Meglio sarebbe stato un simbolo riconducibile al centro, che ci lasciasse le mani libere».
Ecco, ora le hanno. «Alle regionali avrei preferito un’alleanza con Forza Italia, schema Micciché, ma quel Musumeci s’è voluto candidare a tutti i costi, per me non è potabile, lui ci ha fatto perdere cinque anni fa contro Crocetta, e Berlusconi...» Eh sì, ha subìto il veto di Salvini e Meloni contro Alfano. «Così abbiamo deciso di sostenere il rettore Micari con Orlando e il Pd. Sì, l’accordo l’ha fatto Alfano, io condivido. Sì, il patto è nazionale, del resto con il Pd governiamo da quattr’anni. Sì, include anche le elezioni politiche 2018». Stretti e longevi sono d’altronde a sinistra i rapporti di Firrarello con Enzo Bianco, sindaco di Catania, e Vladimiro Crisafulli, senatore di Enna e leader di una delle tre o quattro aree tra loro battagliere del Pd siculo. Certo, se il centrosinistra allargato ad Alfano e tranciato a sinistra da Mdp perdesse la Regione, loro, gli alfaniani, finirebbero come la filletta, il dolce tradizionale di Bronte, cotto tra due padelle con una brace sotto e una sopra. Firrarello non sembra però preoccupato: «Sono convinto che qua vinciamo. Ma credo che anche in caso contrario il Pd terrebbe fede all’accordo nazionale per le politiche 2018».
Ci si chiede: è davvero ancora così salda la presa di Firrarello & Castiglione sul loro feudo, trampolino e serbatoio per la partita di Alfano a Palermo come a Roma? E come si perpetua il consenso, ora che a dar retta al sottosegretario posti di lavoro da distribuire non ce ne stanno più? «Lavorando con le associazioni di categoria e gli ordini professionali che dopo un periodo di obsolescenza hanno ripreso vigore», risponde fiducioso Castiglione: «con scelte di governo che hanno ricadute sulla vita delle persone, le quote sulla pesca del pesce spada, il bonus per i miglioramenti antisismici, la siccità e i consorzi di bonifica, la tutela dell’arancia di Sicilia...»
Un primo pesante segnale di cedimento del potere del duo, se non ancora di sgretolamento, s’è però avuto due anni fa. Quando il quarantenne Graziano Calanna ha inaspettatamente battuto al ballottaggio il candidato ed erede designato di Firrarello e da allora governa la città con tre assessori Pd come lui e uno del Megafono di Crocetta. Firrarello, nel suo libro “Bronte, il paese della mia vita”, rivendica «dieci anni di straordinaria amministrazione», partendo dall’area artigianale tuttora in espansione nella zona alta del paese circondata dalla roccia nera con aziende di trasformazione del pistacchio, tessile di nuovo in auge dopo anni di crisi, strutture all’avanguardia in campo energetico, ed elenca poi rotonde, uffici, rifacimenti di piazze, palazzetto dello sport, fognature, posteggi, strade, palestre, scuole, abbattimenti, restauri e quant’altro. E certo Bronte, dal nome di uno dei quattro Ciclopi che in Esiodo forgiavano nel vulcano le armi di Zeus, non è più quella di cui Carlo Levi scriveva nel ‘52: «Di rado può vedersi, nell’aria abitata dai più illustri Dèi, tanta miseria». Tutto a maggior gloria del senatore Firrarello? Calanna il sindaco ne sforbicia puntigliosamente l’operato: «Opere pubbliche ne ha fatte tante ma disomogenee, i fondi ottenuti per il campo sportivo glieli avevano revocati e li ho recuperati io, la bretella da 13 milioni di euro era stata definanziata e l’ha rifinanziata Crocetta, idem per i restauri delle Chiesa del Rosario e di San Vito». Conclusione: «Quella di Firrarello e Alfano è un’idea fallita, sono finiti i tempi d’oro per la loro parte politica!».
Ma come, proprio ora che sono alleati? «A Palermo. Qua niente ammucchiate», taglia via Calanna. T’immagini la permanenza di un qualche discrimine ideologico, la rivendicazione di una diversità pur nelle convenienze dei giochi politici. Invece. Castiglione il sottosegretario encomia Alfano che «ha pagato un prezzo politico elevatissimo per veder riconosciuta l’autorevolezza dell’Italia sulla questione degli immigrati», il sindaco Pd Calanna attacca invece Alfano proprio perché «con le sue politiche confusionarie e sbagliate ha rischiato di uccidere i Comuni riempiendoli di migranti»: bloccata l’apertura a Bronte di un centro di primissima accoglienza per 60 minori stranieri non accompagnati, non vuole che la sua cittadina, già con 50 migranti, «diventi come Mineo, un tempo famosa per i presepi oggi per il Cara e senza un turista». Alla fine non sai più chi scavalca chi a destra e a sinistra.
Servono credenziali? Ancora Castiglione: «Angelo Capodicasa, il primo firmatario di Mdp che oggi non ci vuole come alleati, era il mio presidente vent’anni fa quando io, assessore all’Industria, chiusi la stagione della Regione imprenditrice e macchina mangiasoldi, liquidai 55 società per azioni (sa quanta gente avrei potuto piazzare gestendole!), vendetti il vendibile a prezzo doppio o triplo della valutazione iniziale. Da sottosegretario all’agricoltura, abbiamo approvato insieme le leggi sul caporalato, gli sprechi alimentari, il biologico, la biodiversità, l’agricoltura sociale. Contro la sciocchezza di un Di Maio dell’abusivismo “per necessità”, io sono per togliere discrezionalità ai sindaci e abbattere per meccanismo automatico una costruzione riconosciuta in violazione delle norme al terzo grado di giudizio». Tradotto: ma che vogliono questi? Chi è più di sinistra di noi del centro?
La partita elettorale è appena agli inizi, ancora si devono piazzare tutti i giocatori in campo, due mesi sono tanti e l’esito è incerto. Ricordate, sopra, il venerabile Capizzi? In vita fece molti miracoli, ma nessuno fu più segnalato dopo la sua scomparsa, e santo, per questo, non lo fecero mai. Non meno del diritto canonico, anche il popolo è talvolta impietoso: fin che fai miracoli ti osanna e ti vota, poi chissà. Forse, anche in Sicilia, il tempo dei miracoli alla giornata sta per finire.