«L'Albania è un'Italia molto più leggera: nello spirito, nella mente, nello stato d'animo»
«Nella complicazione delle leggi nessuno compete con il vostro paese. Per questo ventimila italiani già operano da noi». Parla il premier socialista ed ex sindaco di Tirana Edi Rama
Architettura razionalista, lampadari di Murano, quadri di vedute veneziane: anche questo Palazzo del Primo ministro l'hanno costruito gli italiani. Palazzo della Luogotenenza, si chiamava ?nel ’41, sotto occupazione. Oggi, da quattro anni e di nuovo ?da giugno con la maggioranza assoluta in Parlamento, il suo inquilino è Edi Rama, 53 anni, leader del Partito socialista, ?il più anomalo tra i capi di governo europei.
Pittore, scultore e ceramista, una sua opera esposta all'ultima Biennale di Venezia, ad attizzare il primo focolaio della rivolta studentesca contro il regime di Enver Hoxha quando insegnava all'Accademia delle arti di Tirana, in un eccellente italiano si definisce «un superstite: di quell'ondata di intellettuali, scrittori, artisti, registi, attori che hanno avuto un ruolo di punta nelle proteste e rivoluzioni sfociate nel crollo del muro di Berlino e che, uno a uno, si sono presto ritirati dalla vita politica, sconfitti o disillusi».
Lei, invece? «Caduto il regime, me ne sono andato a Parigi e in giro per il mondo a godermi la libertà ritrovata. Scrivevo articoli, rilasciavo interviste, ma soprattutto facevo arte. Mi richiama in patria nel '98 l'allora leader socialista Fatos Nano, divento ministro della Cultura, ciò che faccio piace ai giovani, due anni dopo il Ps mi candida a sindaco di Tirana, vinco...»
E comincia a colorare la città come neanche i futuristi russi nella Vitebsk anni Venti.
«Sì, ma è stato un atto politico, non un gesto artistico. I colori hanno aiutato a risvegliare il senso della comunità, del vivere insieme. Pensi come sarebbe triste una città in cui tutte le donne uscissero di casa senza prendersi cura di se stesse! Il rosso sulle labbra è un problema di spirito, non di immagine. Quando sono diventato sindaco, Tirana era immersa nell’illegalità, sembrava una città bombardata, non c’era più un metro quadro di verde, forme spaventose come sculture brutali crescevano senza regole. I colori hanno ricucito e collegato le superfici e cambiato lo spirito delle persone. Anche la criminalità è scesa drasticamente».
Saltiamo all’oggi e al nostro tema: gli italiani in Albania. Venite a investire da noi, lei ha detto rivolto ai giovani imprenditori in una sua visita in Italia, premier Matteo Renzi: tasse al 15 per cento, burocrazia leggera, cinque giorni per aprire un'impresa... «Nella complicazione delle leggi nessuno compete con il vostro paese. L'Albania è un’Italia molto più leggera: nello spirito, nella mente, nello stato d'animo».
Niente intralci dai sindacati, ha aggiunto: affermazione quantomeno inusuale, per un leader socialista. «Ah, ho detto anche: non abbiamo neppure una sinistra radicale. So di che cosa soffrono gli imprenditori nel vostro paese. Del resto, qui da noi già operano 20 mila italiani...».
Da dove viene questa cifra? «È attendibile. Sono innanzitutto nel settore manifatturiero: qui si producono quasi tutti i brand italiani più importanti, Dolce e Gabbana, Valentino, Versace, Zegna...».
Imprese italiane o terzisti albanesi per marchi italiani? «Entrambi. Abbigliamento, scarpe, una grande azienda italiana produce qua tutte le buste di carta di D&G. Ma si è investito nei campi più diversi: servizi, ristorazione, agricoltura, call center, edilizia, studi medici. Dal punto di vista dei volumi, quella italiana è la presenza più importante. Quanto al potenziale, siamo invece lontani da ciò che potrebbe essere».
«Nel turismo, per esempio, si può fare moltissimo. Ora è arrivata Alpitour, con una intelligente operazione, ma la domanda è in crescita, nel sud come nel nord. Soprattutto per gli hotel a 4 e 5 stelle, dove siamo indietro e servono investimenti: per questa tipologia abbiamo cambiato la legislazione, 10 anni senza tasse dopo la costruzione di nuove strutture. E l’Iva sul turismo è il 6 per cento, niente».
Erdogan, che ha ora in mano la Turchia, ha investito sull'islamizzazione dell’Albania, un sacco di soldi per costruire la nuova grande moschea nel centro di Tirana. «Siamo stati l’unico paese che ai nazisti non ha consegnato neanche un ebreo, adottati e protetti da famiglie musulmane. ?Io sono cattolico, i due figli del mio primo matrimonio sono ortodossi, la mia attuale moglie è musulmana, nostro figlio piccolo deciderà magari di diventare buddhista. Quanto alla Turchia di Erdogan, la faccenda è più complessa: fatte le riforme e tutti i compiti a casa, si aspettava che l’Europa gli aprisse ?le porte, ha ricevuto invece uno schiaffo, vissuto da lui e dall'opinione pubblica come un’umiliazione. Questo ha ribaltato il paradigma, dalla Turchia come avanguardia dell’Europa nel mondo musulmano, come credo fosse il suo sogno, a testa ?di ponte del mondo musulmano alle frontiere dell’Europa. L’umiliazione si vive malissimo, in questa parte del mondo».
Parla ancora della Turchia o in realtà ha in mente l'Albania? Nel giugno 2014 le è stato riconosciuto lo status di candidato all'Ue ma a distanza di tre anni i negoziati per l’adesione ancora non sono neppure iniziati... «Altrove un’umiliazione la si può forse giustificare in termini ?di pragmatismo o di realpolitik, in questa parte del mondo ?è inaccettabile. Quanto a noi, siamo e restiamo il paese più europeista d'Europa, e stiamo facendo ciò che dobbiamo per avere tutte le carte in regola».