Non è ancora un articolo della Costituzione, ma poco ci manca. Nel frattempo, al JazzMi, il festival appena concluso a Milano, la Federazione del jazz italiano ha indicato il prossimo obiettivo: portare la musica a scuola. Per combattere la cultura della discriminazione ed educare all’ascolto reciproco
Il punto di domanda è d’obbligo. Ma considerando quel che si è visto e ascoltato al JazzMi, il festival che si è appena concluso a Milano e che per tredici giorni, tra il primo e il 13 novembre, con i suoi 210 eventi, tra concerti, incontri, mostre, film, approfondimenti ha consentito a migliaia di persone di ogni età ed estrazione di ritrovarsi a riflettere sul valore non soltanto artistico, ma anche culturale e implicitamente politico di questa musica seminale e sempre attualissima, ci sembra lecito nutrire qualche speranza. Di certo ci offre lo spunto per una narrazione diversa dalla vulgata dominante. Quella di un paese chiuso in se stesso, succube della paura, irretito dai richiami funesti del razzismo e della discriminazione. Il jazz è, per l’appunto, l’opposto di tutto ciò. Un formidabile strumento di inclusione e d’integrazione che presuppone ascolto reciproco. Lo racconta la storia inscritta nel patrimonio genetico, allegramente meticcio, di questa forma d’arte nata più di cento anni fa in quel ribollente crogiolo culturale chiamato New Orleans dove, per la prima volta, ex-schiavi di origine africana e immigrati giunti da ogni parte d’Europa, invece di chiudersi ognuno nella propria bolla, grazie alla musica cominciarono a elaborare un linguaggio comune.
Lo ha raccontato in questi giorni, proprio nella città dove tra il dopoguerra e gli anni Sessanta è nato il jazz italiano, un pubblico curioso e motivatissimo formato da studenti, impiegati, professionisti, uomini e da una foltissima presenza femminile (la storia che le donne odiano il jazz e non lo capiscono, come canta Paolo Conte andrebbe riscritta), si parla di circa 50mila persone giunte al JazzMi per esplorare l’universo del jazz in tutte le sue declinazioni e i generi con cui dialoga (rock, musica etnica, pop, elettronica e perfino rap), per conoscere la sua storia, interrogarsi insieme a studiosi, artisti e musicologi sulla sua attualità e il suo futuro.
Già, perché oltre ai concerti disseminati nel tessuto urbano, alle moltissime star in cartellone - da Paolo Fresu a Abdullah Ibrahim, dagli Art Ensemble a Enrico Rava, dalle vocalist Chiara Civello a Madeleine Peyroux alle proposte più radicali del quintetto di Francesco Diodati, rivelazione della sezione dedicata al nuovo jazz italiano - l’altra sorpresa è stato il successo di pubblico riscosso dai panel della sezione “JazzDoIt” mirati in teoria agli operatori del settore. Fra questi oltre alla mirabile “lectio” su John Coltrane tenuta da due pesi massimi della critica jazz come Ashley Khan e Ted Panken (“Down Beat”), un “focus” sul rapporto tra “I canti delle balene artiche e la musica jazz”.
Lo studio presentato da una giovane e determinata oceanografa dell’Università di Washington, Kate Stafford riguarda in particolare le balene della Groenlandia (Balaena Mysticetus). Per quanto possa sembra incredibile le registrazioni “under-ice” effettuate dalla ricercatrice hanno rivelato che durante la stagione degli accoppiamenti, nella completa oscurità dell’inverno artico, i maschi di questa specie possono cantare decine di “motivi” (sequenze di note) distinti e sempre diversi. Dunque, parafrasando una celebre canzone di Cole Porter, (“Let’s Do It”), possiamo affermare che nel profondo dell’oceano artico anche le balene “lo fanno”. Ovvero improvvisano proprio come i musicisti jazz.
L’altra notizia è che lo fanno anche i bambini. Sembra infatti che anche i cuccioli della nostra specie siano dotati di uno spiccato talento per la musica improvvisata. Decine di progetti didattici condotti in questi ultimi anni nelle scuole - pensiamo a “Pazzi di Jazz” a Ravenna, a “Nidi di Note” e “Note elementari” a Bologna, a “Musica e Gioco” ecc…- hanno dimostrato che portar il jazz dentro le scuole avvicinando le giovanissime generazioni a questa forma d’arte coinvolgendole attivamente in incontri-concerto e laboratori condotti dagli stessi artisti nel fascinoso mondo delle musiche improvvisate può dare risultati straordinari. Ne hanno parlato Cinzia Gori e Sonia Peana, due storiche insegnanti impegnate in questo settore nell’incontro “Il Jazz va a Scuola”.
Il titolo stesso dell’incontro rispecchia una certa dose di ottimismo considerato che l’insegnamento della musica, diversamente da quanto accade nel resto d’Europa è tutt’ora la Cenerentola dei nostri programmi. È una vecchia storia. Franco Cerri, decano dei jazzisti italiani, nel bel documentario per i suoi novant’anni presentato a JazzMi ha ricordato lui e Gorni Kramer, verso la fine degli Anni ‘50 furono i primi a recarsi al Ministero della Pubblica Istruzione per presentare un progetto sull’educazione musicale. «Molto entusiasmo, molte promesse ma poi la cosa finì lì», il suo commento sconsolato. Nel frattempo però il mondo del jazz si è dato una mossa. E dopo i Conservatori, dove da anni i corsi di jazz risultano i più affollati, la Federazione Nazionale “Il Jazz Italiano”, assieme a Mibact ha posto tra i propri obiettivi culturali e formativi quello di promuovere percorsi didattici legati alla conoscenza del jazz e delle musiche improvvisate rivolte al mondo della Scuola.
Per questo è stato indetto il primo Convegno Nazionale, sabato 17 novembre a Bologna, al quale sono invitati musicisti, musicologi, insegnanti, tante persone che hanno dedicato la loro vita allo studio e all’insegnamento della musica, per tutte le fasce di età, dalla fascia 0-6 anni alla medie superiori. Ne parla nel video linkato qui di seguito il presidente della FJI, Paolo Fresu:
https://www.facebook.com/paolofresuofficial/...jazz-va-a-scuola...-/1799567540132970/ Lo scopo: fare in modo che le esperienze che hanno funzionato vengano implementate e inserite nelle progettazioni. La collaborazione del Miur, del comitato per l’apprendimento della musica pratica fa ben sperare.
Fra le altre proposte: l’idea di una giornata nazionale del jazz dentro le scuole, il 21 febbraio, a suggellare la nascita, del protocollo tra la federazione jazz italiano e il Mibact. «Perché il jazz», sottolineano le due insegnanti, «è una forma d’arte che educa a vivere insieme, ci fa capire che solo attraverso l’ascolto di ciò che l’altro suona, anche io posso agganciare il mio discorso. Tutto ciò è legato a un aspetto democratico della relazione che nella scuola viviamo tutti ogni giorno. Di fronte a certi segnali allarmanti che purtroppo iniziamo a manifestarsi anche nelle aule scolastiche è fondamentale combattere la cultura della semplificazione con la cultura della profondità, della sfumatura e del particolare». E il jazz in questa battaglia può essere un formidabile alleato.