Ha fatto discutere la doppietta di Gavino Ledda. Quella di cui si parlava all'inizio dell'intervista dell'Espresso, e che si vedeva bene nella fotografia. Sui social è stata vista come una ricaduta nel luogo comune della Sardegna come terra di briganti: proprio il contrario di quello che l'articolo, per chi ha avuto la pazienza di leggerlo, intendeva raccontare.
La verità è più semplice: quel Gavino Ledda con berretta, giacca di orbace e doppietta era il personaggio di un film. Ed era l'immagine di una doppia recita: perché Ledda interpreta un uomo di oggi che si maschera da pastore d'altri tempi per far contento il figlio, gestore di un agriturismo, e i suoi ospiti, turisti stranieri venuti in cerca della Sardegna di un tempo. La foto è stata scattata sul set di "Assandira", il film tratto dal romanzo omonimo di Giulio Angioni (pubblicato da Sellerio) che Salvatore Mereu sta girando in questi giorni, tra una bufera e l'altra, a Foresta Burgos, nel cuore verde della Barbagia.
In un ovile decorato con soprammobili e decori contadini che vanno di moda negli agriturismi, mentre gli attori tedeschi in abiti estivi si scaldano tra un ciak e l'altro sotto grosse coperte militari, il regista di "Sonetàula" e "Bellas mariposas" spiega perché ha scelto questa storia per raccontare il contrasto tra la Sardegna di ieri e quella di oggi, tra la Sardegna vera e quella recitata per attrarre turisti. E perché ha chiamato l'autore di "Padre padrone" a interpretare il protagonista.
Come nasce l'agriturismo Assandira?
«Il padre possiede un terreno dove c'è un vecchio rudere, il figlio, che era emigrato, e la moglie tedesca decidono di tarsformarlo in agriturismo. E pian piano convincono il padre a seguirli. Lui non crede molto che la cosa possa funzionare: soprattutto perché, dice, "non c'era nulla di comodo e di piacevole nella vita del pastore, non capisco come voi vogliate chiamare delle persone a vedere come si viveva". Loro gli rispondono di non preoccuparsi, "devi solo fingere di fare il pastore come un tempo, vedrai che pagheranno un sacco di soldi per vedere come lo fai". E lui siccome quello è il suo unico figlio decide comunque di aiutarlo. Anche perché nei confronti della nuora nasce un sentimento che il padre cerca di nascondere, ma che invece i due decidono di sfruttare per trascinarlo in questa avventura».
Cosa vuol dire il titolo?
«È una parola che torna in molte canzoni popolari sarde. Alcuni dicono che sia una parola di origine sumera e che significhi "saluto al sole". Non so come sia possibile, ma alcuni dicono che è così. La cosa che ho trovato interessante nel libro di Angioni, che da antropologo è stato un finissimo osservatore dei cambiamenti sull'isola, è che è per molti versi un libro profetico. Avrà notato che su una parete dell'ovile c'è un pannello con delle polaroid: perché preannuncia la mania dell'autorappresentazione che è esplosa con i selfie. Gli ospiti dell'agriturismo vengono invitati a scattare foto nei momenti vari della giornata».
Ma alla fine come vanno le cose nell'agriturismo?
«Il racconto inizia dalla fine, quando un incendio distrugge tutto. C'è un'inchiesta, perché non si capisce se sia stato doloso. Attraverso il racconto di Costantino, cioè Gavino Ledda, iniziamo a capire come sono andate le cose. Ma sono andate davvero così come lui le racconta, o sta ricostruendo la storia a modo suo? Resta il dubbio, come nel modello altissimo che c'è dietro al libro, "Rashomon" di Akira Kurosawa».
E c'è l'uso di una falsa vita campestre.
«È una storia che denuncia l'uso spregiudicato che negli anni scorsi si è fatto della tradizione, che è stata piegata biecamente al profitto. Costantino è un po' vittima dei progetti del figlio, ma un po' è consenziente. Anche perché marito emoglie continuano ad alzare l'asticella, come se volessero seguire la teoria delle attrazioni di Sergej Eizenstejn per tenere viva l'attenzione degli ospiti. Finché non arrivano a piegare le regole della natura stessa, e questo porta alla tragedia finale».
Il personaggio di Costantino è ispirato al "Padre padrone" di Ledda? In realtà sembra proprio l'opposto, un padre che si piega al volere del figlio...
«Sì, lui si immola in nome del suo unico figlio: è il capovolgimento del rapporto che c'era in "Padre padrone". Il padre considera il figlio un fallimento, un figlio diverso da come lui lo avrebbe voluto. Soprattutto lo sente inadatto alla campagna e per questo non crede che sia la persona giusta per mettersi in quest'avventura. Il padre sente che il rapporto di suo figlio con gli animali è di seconda mano, è posticcio. Però accetta qualsiasi cosa, si adatta a partecipare alla mascherata che deve fare ogni giorno. Quando si scopre che il figlio è sterile e gli chiedono il seme perché la nuora possa avere un bambino con la fecondazione assistita, lui accetta anche questo: è il capovolgimento finale della famiglia, l'attesa di un bambino che non si sa se è suo figlio o suo nipote».
Ledda ha accettato per questo? È stato incuriosito dal capovolgimento della sua storia?
«All'inizio, quando gli ho proposto il ruolo, era restìo. Ma era perché conosceva i tempi lunghi del cinema, e aveva la preoccupazione di essere strappato per troppo tempo al slaua peculiarità, al suo lavoro vero: sta lavorando da tempo a un libro che è un'impresa del tutto nuova, attraverso una nuova lingua. E poi aveva paura che il pubblico lo vedesse come Gavino Ledda e non come personaggio. Poi però si è reso conto che anche fisicamente poteva essere l'interprete giusto per questo personaggio, e ha accettato di lanciarsi in quest'avventura».