Il crollo del ponte Morandi a Genova, il 14 agosto lungo l'autostrada A10, mette a dura prova le capacità del governo di Giuseppe Conte nell'affrontare l'emergenza: quarantatré morti, decine di feriti da estrarre dalle macerie, centinaia di sfollati, l'immagine dell'Italia a pezzi nel pieno della stagione turistica. Sotto accusa anche la manutenzione di Società Autostrade per l'Italia, concessionaria di quel tratto di viabilità, e i mancati controlli del ministero delle Infrastrutture nel corso degli anni su tutta la privatizzazione della rete autostradale. Oltre venti indagati, tra manager di Autostrade, tecnici e funzionari statali e un'inchiesta che sarà conclusa con il deposito delle perizie tuttora in corso.
Non sono state ancora chiarite le responsabilità individuali. Ma è ormai evidente cosa sia accaduto. Un facile esperimento può aiutare a capire: se stringiamo una pila di monete tra pollice e indice, la compressione impedisce alle monete di cadere anche se le solleviamo in posizione orizzontale.
La forza impressa dalle dita è fondamentale, sia per sostenere le monete, sia per tenerle insieme: nel ponte Morandi le “dita” erano costituite dai quattro stralli che sostenevano il viadotto, ma garantivano anche la compressione dell'impalcato in calcestruzzo su cui scorreva l'autostrada Genova-Savona. Se allentiamo la pressione di pollice e indice, le monete inesorabilmente cadono. Ed è proprio quello che è accaduto alle 11.36 di martedì 14 agosto: l'indebolimento di due stralli avrebbe fatto mancare la compressione lungo il piano orizzontale del ponte. Al normale passaggio contemporaneo di quattro o cinque Tir, i cassoni di calcestruzzo si sono separati e il viadotto è collassato.
Un video pubblicato da L'Espresso rivela che già diciassette ore prima della tragedia, il piano viario non era più allineato: fin dalla sera prima in prossimità del giunto tra la pila 9, poi crollata, e il resto del viadotto, auto, moto e camion subivano un vistoso sobbalzo provocato dal dislivello tra le due sezioni del ponte.
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