Politica
28 dicembre, 2018

Conte, il premier esecutore

La rivoluzione del governo Di Maio-Salvini sta tutta qui. In un presidente del Consiglio che non conta niente, e per parlare deve chiedere il permesso. Come il primo giorno alla Camera, quando domandò: «Posso dire che...?» 

«Posso dire che...?». «No». A raccontare in politica il 2018 è questo dialogo scarno, brevissimo. Un dialogo qualsiasi, all'apparenza. È il 6 giugno 2018. Il governo gialloverde, quello che vede per la prima volta M5S in maggioranza insieme con la Lega, ha giurato pochi giorni prima. Giuseppe Conte, fino alla settimana prima un giurista e docente universitario, è alla Camera per il voto di fiducia. Il suo discorso al Senato era andato tutto liscio, risultato quasi sorprendente per quello che i giornali di mezzo mondo avevano definito come il «premier sconosciuto».

A Montecitorio no: il neo presidente del Consiglio prima scivola sulla gaffe sul «congiunto di Mattarella», quasi volgare nella sua approssimazione ; poi inciampa su un «non» che dimentica di dire, finendo per auspicare una riforma della giustizia fondata sulla «presunzione di colpevolezza» (orrore); infine – momento ancor più tragico - si perde negli appunti, non trova più i fogli giusti. A quel punto è Luigi Di Maio a intervenire in suo soccorso. Si mette a cercare. E parte la gag. Col premier che palesemente perde tempo, continuando a parlare del quasi nulla, il suo vice che gli cerca i fogli. Così fino all'apoteosi. Un premier che chiede il permesso di dire qualcosa: «Posso dire che...». E non solo lo chiede, quel permesso. Per di più non lo ottiene: «No», è infatti la laconica riposta carpita dai microfoni.

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Ed eccolo il nocciolo di quella che, sette mesi dopo, Conte stesso chiamerà, nella conferenza stampa di fine anno, una «esperienza di governo assolutamente innovativa, che scandisce un significativo mutamento di passo della politica». La innovazione sta anzitutto in questo: che non si era visto mai un presidente del Consiglio così privo di potere, oltreché di esperienza. Un «esecutore» era del resto quel che si cercava, nei giorni e nelle settimane in cui Lega e Cinque stelle lavoravano al contratto di governo.

Si è finito per trovare l'«avvocato del popolo», cioè un uomo pronto a prestare la propria faccia a idee e programmi altrui, portando così alle estreme conseguenze la figura di presidente del Consiglio come primus inter pares, così come disegnato nel delicato sistema istituzionale italiano. Con Conte sparisce il primus, governano i «pares». Che decidono chi debba parlare per dire che cosa, all'interno di una architettura fortemente accentrata, nella quale tutto diventa fungibile, superfluo, esornativo: dal premier al parlamento, che non a caso Davide Casaleggio,il capo dei Cinque stelle, ritiene avviato al superfluo, prodromo concettuale della sua abolizione.  

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