Hanno abolito falci, martelli, rifondazioni, rivoluzioni, proletariati, hanno raccolto le esperienze dei movimenti di lotta sul territorio e puntato al messaggio diretto, l'utopia: Potere al popolo. Un movimento che - in controtendenza rispetto alla pluriennale desertificazione della sinistra - nelle ultime settimane ha conquistato nel suo piccolo l'attenzione degli elettori e dei media (i sondaggisti li hanno tratti fuori dal mucchietto degli “altri” soltanto un paio di settimane fa).
Rappresentando uno scarto di novità, anche per radicalismo e ottimismo, che si occupa dei «non rappresentati» e parla ai giovani invece che rincorrere gli anziani. Il che, vista la travagliata storia recente dell'area, rasenta già il miracolo, comunque vada a finire.
Il loro informale atto di nascita dice già molto: fu il 18 giugno, al teatro Brancaccio di Roma, quando nel corso dell'assemblea che doveva mettere insieme i fermenti extra Pd (dalla quale sarebbe poi nato Liberi e uguali), fu contestato il bersaniano Miguel Gotor, senatore Mdp. A salire sul palco, senza microfono, per criticarlo fu proprio colei che oggi è - per mera necessità formale - la capa politica di Potere al popolo: Viola Carofalo, 37 anni, ricercatrice precaria, attivista dell'ex Opg occupato di Napoli “Je so' pazzo”, adesso peraltro cuore pulsante del movimento.
Di quel che disse Carofalo non v'è traccia negli audio mainstream, ma solo una testimonianza lasciata sulla pagina Facebook dell'ex Opg, in cui si spiegava appunto che chi «è pazzo», come nella canzone di Pino Daniele, «ora vuole parlare». Conta di più quel che è accaduto poi: il mancato abbraccio coi partiti, il superamento della condizione di “orfani del Brancaccio”, la decisione a metà novembre di correre alle elezioni, fino ad oggi. Tutto condotto con meccanismi assembleari. Orizzontali e «fluidi» come una specie di grillini della primissima ora (quelli dei meet up di dieci anni fa) ma senza la fissazione della rete e dell'antipolitica (anzi), i militanti di Potere al popolo non hanno organismi dirigenziali formali, si limitano a un coordinamento composto da una ventina di persone, e per il resto si articolano facendo base su centri sociali, comitati, movimenti di lotta (No Tav, No Tap, No Muos, No Grandi navi, ma anche i Clash City Workers che si occupano del mondo del lavoro).
E i partiti? C'è quel che resta di Rifondazione comunista, oggi guidata da Maurizio Acerbo, che è praticamente l'unica organizzazione partitica presente, con moltissime cautele e mille precisazioni su come - dicono i promotori - «abbiano saputo fare un passo indietro», per sfuggire l'accusa pestilenziale di essere una «Rifondazione mascherata». (Postilla per i cultori della materia: hanno aderito a Potere al popolo anche Sinistra anticapitalista di Franco Turigliatto e il Pci di Mauro Alboresi; mentre sono fuori sia Marco Rizzo che Marco Ferrando).
Così, i candidati sono stati scelti «davvero sul territorio», assicura la giornalista e autrice Francesca Fornario che è una degli “spingitori” del movimento (tra gli altri simpatizzanti: Sabina Guzzanti, Citto Maselli, Ascanio Celestini, Heidi Giuliani, Paolo Pietrangeli che è anche candidato). «Un processo politico mai visto: incontri in tutta Italia, 160 assemblee, almeno trecento riunioni nelle quali si davvero scelto il programma e chi si voleva mandare in Parlamento», racconta.
Nomi spesso sconosciuti a livello nazionale, ma noti per battaglie svolte in loco. Nello stesso modo, assembleare, è stato deciso il programma che riprende i grandi classici della sinistra della sinistra (come pace e disarmo, uscita dalla Nato, rescissione di tutti i trattati militari) e lo coniuga con elementi meno frequentati. Come quello - molto discusso nella sinistra dei Grasso e degli Ingroia - che vuole l'abolizione del 41 bis, da sostituire con altre misure di controllo dei condannati. «Dicono che vogliamo far uscire dal carcere i mafiosi, noi diciamo solo essere contro la tortura, quindi contro tutte forme di detenzione che la contengano, sono istanze venute anche da chi coi detenuti ci lavora, fa volontariato nelle carceri», spiega Fornario.
Difficile assai che riescano a superare lo sbarramento del tre per cento per entrare in Parlamento: ma l'esperienza - dicono - continuerà a prescindere. E del resto la capacità di mobilitazione è già stata dimostrata dalla raccolta delle firme per presentarsi alle urne (imponente, ne servivano 375 per collegio, e riuscita come raccontano «senza copertura mediatica, senza soldi, senza contatti illustri»).
Il «successo, sia pur relativo», dice lo scrittore e giornalista Christian Raimo, vicino al movimento, si spiega col fatto che Potere al popolo «ha corrisposto a un bisogno», quello di «avviare un processo democratico a sinistra che partisse dalle lotte di questi anni, con la radicalità necessaria», tra l'importazione di una «fase di socialismo anche nuovo» - si pensa fra l'altro al francese Melenchon, che è venuto a dare il suo endorsement - e il recupero di istanze e proposte «che in Italia sono fallite negli anni scorsi, ma non erano in sé fallimentari, prima che si trasformassero in uno strano ceto dirigente autoreferenziale». Come a voler riavvolgere il nastro, per portarlo da tutta un'altra parte. L'ottimismo, si diceva.