Consacrata dalla giuria la canzone L'uomo nero come miglior brano per i diritti umani. Mentre il cantautore si prepara a debuttare con una serie su Rai3

Premio Amnesty a Brunori Sas e al suo razzista della porta accanto

«E tu, tu che pensavi che fosse tutta acqua passata, che questa tragica misera storia non sarebbe più ripetuta, tu che credevi nel progresso e nei sorrisi di Mandela, tu che pensavi che dopo l’inverno sarebbe arrivata la primavera: e invece no».

C’è molta malinconia nell’“Uomo nero” di Brunori Sas, giustamente consacrata dalla giuria del Premio Amnesty International Italia, che da quindici anni sceglie il miglior brano dell’anno sul tema dei diritti umani. Più malinconia che rabbia, più nostalgia di un tempo di speranze che pochi anni fa sembravano vicine a realizzarsi che rabbia contro chi quelle speranze di tolleranza e di convivenza pacifica le disprezza, e al progresso preferirebbe un ritorno al passato («olio di ricino e manganelli»). C’è un guizzo alla fine, perché al momento di sconforto di chi «sorseggia l’ennesimo amaro seduto a un tavolo sui Navigli e pensa: in fondo va tutto bene, mi basta solo non fare figli», la canzone risponde: «E invece no».

Non basta rassegnarsi, rinunciare a costruire il futuro, non basta mettere la testa sotto la sabbia. Anche se una canzone non cambia il mondo (“io che pensavo / che fosse tutto una passeggiata / che bastasse cantare canzoni / per dare al mondo una sistemata"), una canzone come questa può comunque fare molto per «migliorare il clima pessimo che in questo momento circonda il tema dei diritti umani», come ha detto Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia. «“L’uomo nero” parla al cuore e alle emozioni ed è, oltre che una canzone bella, anche una canzone utile».

Ed è bello che questo premio la faccia conoscere di più. E che il suo autore venga conosciuto di più, con la trasmissione “Brunori sa”, una serie in cinque puntate in arrivo su Rai3 da venerdì 6 aprile. Un racconto in viaggio per l’Italia su desideri, paure e contraddizioni della sua generazione. Gli argomenti? Salute, casa, lavoro, relazioni e Dio.

Brunori la sua canzone la racconta così: «Ho avuto difficoltà a scriverla perché, visto il tema, era facile cadere nella retorica anacronistica del cantautore militante, in un’invettiva scontata contro le piccole e grandi derive xenofobe degli ultimi anni. C'è una buona dose di amarezza ma anche la denuncia, anche autocritica, di quell'approccio ignavo che tende a non occuparsi concretamente certi fenomeni, a ridicolizzarli o a non dargli eccessivo peso. Si tratta di un terreno scivoloso ma spero di essere rimasto in piedi: e questo riconoscimento, in qualche modo, me ne dà conferma. 

La premiazione sarà a Rosolina Mare (Rovigo) domenica 22 luglio, alla fine del festival “Voci per la Libertà - Una canzone per Amnesty”, che dal 19 ospiterà anche le finali della sezione emergenti del Premio Amnesty, il cui bando rimane aperto fino al 30 aprile. Sul sito è intanto in corso il voto del pubblico per il Premio Web Social. Tra le altre canzoni in lizza per il Premio Amnesty c’erano anche: “L’uomo che premette” di Caparezza, “Deserto” di Clementino, “Ora d’aria” di Ghali, “Affermativo” di Jovanotti, e due brani sentiti a Sanremo, “Vietato morire” di Ermal Meta e “Stiamo tutti bene” di Mirkoeilcane.

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