Il Movimento Cinque stelle sfonda la barriera del 30 per cento. La Lega conquista la supremazia del centrodestra relegando Berlusconi alla minoranza. E per Renzi e la sinistra è l'ora più buia di sempre

L'ora più buia per la sinistra italiana arriva nel cuore della notte. L'ondata di piena di un Paese sconosciuto ai comunicatori fighetti, a chi confonde il centro della società con il centro storico. Una marea più grigiastra che nera, di rabbia e protesta più che di speranza, che cancella rottamazioni mancate e argini di sistema. Matteo Renzi aveva posto l'asticella in zona 25 per cento, la percentuale che aveva preso Pier Luigi Bersani, si ritrova a gareggiare con le cifre di Achille Occhetto all'esordio del Pds e della Quercia sulle macerie del Partito comunista, sotto il 20 per cento. In quel caso erano le rovine della storia, il muro e la tragica speranza del comunismo mondiale, oggi c'è la parabola di un gruppo di ragazzi venuti dalla provincia toscana che si affacciano sulla scena, conquistano il potere (la scalata, la chiamò il suo artefice), lo perdono, conducono il partito dei progressisti alla più grave disfatta della storia. Una quasi scomparsa politica e elettorale, che coinvolge i transfughi Liberi e uguali, destinatari di briciole.
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Elezioni 2018, crolla il Pd. Ma nessuno ha maggioranza 
4/3/2018

Al suo posto, avanza in testa alla classifica il Movimento 5 Stelle, artefice di una trasformazione pirotecnica, avvenuta in campagna elettorale, da movimento anti-sistema a partito del sistema, «pilastro», dice nella notte il ministro in pectore della Giustizia Alfonso Bonafede, come dicevano al posto suo trenta o quaranta anni fa i democristiani nelle serate elettorali: siamo l'architrave del sistema politico. La soglia del trenta per cento, in settant'anni di storia elettorale, è stata raggiunta solo da quattro formazioni: Dc, Pci, Pdl e Pd-Ulivo e basta questo per dire dell'impresa del Movimento post-grillino e del suo leader Luigi Di Maio. Rassicurante, moderato, governativo, perfetto per interpretare una doppia metamorfosi, dell'elettorato e del gruppo dirigente.

L'elettorato, il ceto medio, da baluardo di stabilità, è diventato ormai da anni l'epicentro della crisi sociale e politica, si sposta verso quel movimento o quel leader che promette non la stasi, ma il cambiamento. Il gruppo dirigente M5S ha compiuto il passo opposto, dalla promessa di sfascio e rottura alla candidatura a guidare la pacificazione nazionale, alla guida di un governo di tutti. «Tutti dovranno parlare con noi», ripetono i big alle spalle di Di Maio. Da «non ci alleiamo con nessuno» a «tutti dovranno parlare con noi», sembra l'opposto, invece il passo è brevissimo. Ciò che distingue il Movimento italiano dai populisti europei è l'impossibilità di inserirlo nelle tradizionali categorie di destra e sinistra. Di destra nelle politiche di sicurezza, di sinistra in economia, M5S punta a governare con tutti, per non dover scegliere un'identità particolare. Sembra una storia nuova, ma è antica, nel Paese del trasformismo.
Lega
Elezioni, il boom di Matteo Salvini sporcato dai sospetti
5/3/2018

Scegliere l'alleanza con la Lega di Matteo Salvini, numericamente possibile, significherebbe connotarsi in maniera definitiva. Salvini è l'altro grande vincitore: è riuscito nell'impresa in cui hanno fallito per venticinque anni Fini, Casini, Alfano, il maestro Umberto Bossi. Ha sconfitto Silvio Berlusconi nelle urne, in casa, nel perimetro del centrodestra, spinto da un vento di destra che non si esaurisce nei voti per i micro-partiti estremisti, ma è qualcosa che dopo i fatti di Macerata ha soffiato fortissimo spingendo la Lega fuori dai confini tradizionali del Nord.

Berlusconi, per la prima volta, si risveglia leader di minoranza. Una minoranza della minoranza. Una situazione inedita che consegna al day after, questa mattina del 5 marzo, la prima grande domanda: il centrodestra resterà unito o ognuno andrà per la sua strada? La risposta porta con sé la seconda questione: la Lega mollerà Berlusconi per allearsi con il Movimento 5 Stelle in una specie di sacra alleanza populista, anti-europea, anti-immigrati, in nome del popolo e contro i poteri forti?

Le elezioni del 1976 furono definite da Aldo Moro il voto dei due vincitori: la Dc e il Pci. La notte del 4 marzo i vincitori sono Di Maio e Salvini, che si dividono il territorio nazionale in parti uguali. Tutto il Nord alla Lega, tutti i collegi del Sud ai 5 Stelle, 9 su 9 in Sicilia al Senato, anche il 40-45 per cento nel maggior numero dei collegi. E ci sono due sconfitti, in modo catastrofico: Berlusconi il vecchio all'ultimo giro e il suo giovane erede Matteo Renzi, da uomo del Midas democratico a capo sconfitto e precocemente invecchiato, una specie di De Martino quarantenne, destinato a togliersi di mezzo se non vuole provocare la dissoluzione finale. Il Big Bang sognato alla Leopolda è infine arrivato, nel modo più amaro.

Di Maio e Salvini hanno le carte del doppio tavolo, la centralità che in politica consegna e definisce le posizioni di forza. Di Maio può trattare con la Lega ma anche con un Pd de-renzizzato. Salvini, ugualmente, può stringere Berlusconi in un patto che lo vede favorito, ma anche aprire la trattativa con M5S. Berlusconi e Renzi, gli uomini del Nazareno, non hanno invece nessuna carta in mano. E i loro quartier generali sono al buio pesto, mentre il ministro Marco Minniti rischia di essere sconfitto a Pesaro da un deputato M5S già dimissionario per rimborsopoli.

La pagina bianca di cui ha parlato Sergio Mattarella nel messaggio di fine 2017 comincia a essere scritta. Ora, come disse il capo dello Stato, tocca al Parlamento e alle forze politiche. La maggioranza non c’è. Vince chi costituzionalizza le forze anti-sistema, si disse all'inizio della campagna elettorale. Di fronte all'onda, ora, si può demonizzare quell'elettore su tre che ha votato per la rottura dell'ancien regime, tenere fuori dal governo il nuovo Terzo Stato che punta a contare. E arrivare così a due esiti della crisi ugualmente drammatici: isolare M5S, riconsegnandolo alla sua natura originaria anti-sistema e stroncare il suo cammino verso la normalità istituzionale. Oppure favorire la nascita di una maggioranza M5S-Lega, un patto Di Maio-Salvini che provocherebbe la rottura dell'Italia con l'Europa, l'assedio della speculazione finanziaria e altre sciagure.

In mezzo, tra queste due scelte, ci sono gli sconfitti del 4 marzo. Forza Italia, chiamata a decidere se aggregarsi alla Lega o cercare un destino post-berlusconiano tutto da scrivere. E il Pd, o quel che resta, che può decidere di tirarsi fuori e giocare allo sfascio del sistema. Oppure rispettare il risultato del voto e mettere alla prova del governo i vincitori. Qualsiasi scelta, però, rischia di essere letale, nel paesaggio irriconoscibile dell'Italia del 4 marzo, eppure a ben vedere non così imprevedibile.