Alla domanda: «Quando vede un bel libro in classifica, come reagisce?», Giorgio Manganelli rispose: «La cosa mi insospettisce molto. Ci deve essere qualcosa che non va». Come anche ribadito su queste pagine da Wlodek Goldkorn, la classifica dei libri non è un luogo indegno a prescindere, in cui se ci finisci, allora significa che sei uno scrittore con la esse minuscola. Ci sono bei libri che in classifica pure riescono a comparire, ma - ci viene in soccorso Manganelli -– è una specie di eccezione.
Il problema a cui si riferisce Manganelli, e il nodo cruciale su cui ragionare, ha a che fare non tanto con le presenze, visibili, lampanti, ben evidenziate dal numero in grassetto; quanto con le assenze. Di quei libri che pur essendo belli e ben scritti, restano invisibili alla maggior parte delle persone. Questo vuoto, almeno nella narrativa, è il vero cruccio delle classifiche: una distrazione fatale per quei libri che pur possedendo un’importante qualità letteraria non sono lì, a svettare. Vengono sottratti, scippati agli occhi di chi rimane all’oscuro di tantissima buona letteratura che sprofonda in libreria. La visibilità, in questo nostro tempo di sovraesposizioni e di eccedenze, è la sola possibilità che ha il libro di vendere (anche se, spesso, il passaparola pure fa miracoli); e quindi, cosa accade a quei libri che, invece, per definizione, o per uno strano e contorto pregiudizio editoriale, restano impercettibili? A quei libri che scompaiono, cioè, nelle vetrine delle librerie, sugli scaffali, sugli espositori ammiccanti delle grandi catene libraie, nei premi letterari, nei festival, nei dibattiti, sui giornali, negli inserti, in televisione? Restano invisibili, e in questa invisibilità si coagula tutta la fatica del loro esistere.
C’è una categoria specifica di libri, tra tante altre (e penso alla poesia), che subisce questa specie di ghettizzazione, conseguenza di un meccanismo complesso che attraversa tutta la filiera editoriale in cui si dipana la vita di un libro. Questi libri sono le raccolte di racconti. Fatta eccezione per le antologie di racconti in cui vengono raccolti, miratamente, le storie di Natale degli autori più disparati con l’avvicinarsi delle feste natalizie; oppure altre in cui i racconti vengono riesumati per affrontare un tema (le storie che parlano di madri in occasione della festa della mamma, o quelli per la festa della donna, o i gialli sotto l’ombrellone…); fatta eccezione anche per le raccolte di racconti di autori stranieri con un nome, però, ben radicato nella percezione collettiva, i libri di racconti nostrani (ma anche una miriade di stranieri) scompaiono dalla considerazione del pubblico ampio, e quindi dalle classifiche. Se una cosa sparisce dal nostro campo percettivo è come se perdesse la sua possibilità di esistenza in vita. O, quanto meno, fa molta più fatica a sopravvivere nel tritacarne delle nuove uscite.
I libri di racconti subiscono un radicato preconcetto secondo cui le raccolte non vendono. E se non vendono, allora si fa fatica a investirci molto, a produrre una buona campagna pubblicitaria, a spenderci energie per la promozione ad ampio raggio. E, a questo punto, si crea un cortocircuito malefico: se il lettore non trova i libri di racconti in libreria, nei festival, nei premi, nei dibattiti, nelle recensioni, sarà molto difficile che si creino le condizioni perché quel libro riesca a scalare le classifiche. Creando, così, le premesse per una più profonda oscurità, perché se quei libri non compaiono in classifica, allora i lettori non sapranno che i libri di racconti esistono. Peggio, si creerà qualcosa di più losco e pericoloso: si perderanno le condizioni per cui i lettori potrebbero affezionarsi ai racconti, si perderà l’occasione di fornire loro una mappatura di lettura specifica per questa forma letteraria, disabituandoli e diseducandoli alla lettura di racconti tout court.
La classifica è il luogo in cui il libro è messo sotto il riflettore: al primo posto c’è l’étoile, poi i secondi ballerini, e via via tutto il coro. La classifica è il modo più semplice, veloce, sovraesposto, appagante e rassicurante che il lettore ha per venire a conoscenza di qualcosa, di cui, altrimenti, resterebbe all’oscuro. Vedere un libro di racconti in classifica sarebbe come veder ballare sul palco una prima ballerina bendata, sui trampoli, con le mani legate; dovrebbe ballare in condizioni difficili, quasi impossibili: sarebbe, cioè, rischiosissimo porla lì, con un pubblico che la osserva piena di scetticismi. Ma la ballerina brava ballerebbe comunque, perché è una ballerina. E un bel libro di racconti saprebbe raccontare comunque, perché sarebbe, semplicemente, un libro come un altro.
Negli ultimi tempi, sono sorte molte realtà che si occupano di racconti, sviscerando la forma breve da varie prospettive, proponendo riflessioni, recensioni e nuove proposte. In una recente intervista a Daniele Di Gennaro di minimum fax, che molto ha fatto per il racconto come forma letteraria, l’editore ha detto: «Se si facessero i conti solo con il contenuto e con la scrittura, con il prodotto culturale e non con il prodotto, nel triste senso del nastro industriale, questo pregiudizio (i racconti non vendono, ndr) che è un errore per definizione, si dissolverebbe come il più sottile dei gas». Vale a dire, che in Italia si pubblicano tantissime raccolte di racconti, sia di autori italiani che di stranieri, dal contenuto letterario forte e credibile, in alcuni casi connotati da una qualità letteraria preziosa sia per il nostro patrimonio letterario, che per quello individuale di ciascun lettore. Per dirne una su tante: nel maggio del 2017 Racconti Edizioni ha pubblicato una delle raccolte più belle della stagione, di un’autrice poco conosciuta che, però, è una delle più grandi narratrici di racconti, una maestra, come dichiarò Alice Munro, premio Nobel per la letteratura del 2013, scrittrice di racconti anche lei. “Una coltre di verde” è il titolo di questa raccolta, di Eudora Welty, che, ovviamente, non è mai finita in classifica. Perché? Per una serie svariata di motivi. I più semplici: perché l’ha proposta, coraggiosamente, una piccola casa editrice con limitate forze economiche; perché quello dell’autrice non è un nome conosciuto ai più; perché la qualità letteraria fa un poco paura; perché è un libro di racconti.
Lo stesso Giorgio Manganelli, i cui racconti hanno fatto risplendere la letteratura italiana, e che ancora oggi ispirano i più bravi scrittori (non solo di racconti), dovette veder scritto come sottotitolo a Centuria, un libro di narrazioni brevi fondamentale nel nostro patrimonio narrativo: “cento piccoli romanzi fiume”, per spaventare meno il lettore e invogliarlo a comprare il libro. Come diceva la giornalista Grazia Cherchi, molto spesso i servizi per i lettori, come le classifiche, sono non-servizi, qualcosa che finisce per trattarli come non-lettori. Saggiamente, la Cherchi suggeriva di inserire nelle pagine culturali dei giornali, insieme alle classifiche canoniche, anche le classifiche dei libri che meriterebbero di essere venduti meglio e che passano sotto silenzio. Aggiungerei io, con l’obbligo, etico o anche contrattuale, di inserire almeno uno, se non tre, o quattro, libri di racconti.