Grandi personalità nel modo di suonare ?e di apparire. Tecnica. Tradizione e innovazione. Ecco i loro nomi
I possenti accordi di un Arrau, le ottave indemoniate di un Horowitz, la capacità di far cantare il proprio strumento di un Rubinstein, pianisti riconoscibili fra mille al primo ascolto per il loro tocco unico, un paio di decenni fa furono, per il critico musicale del “New York Times” Harold Schonberg, l’occasione di un acuto e inconsolabile rimpianto, se paragonati alla seriosità e alla verve dimessa degli interpreti delle generazioni successive, molto più rispettosi dello spartito, ma così impersonali, «incapaci di eseguire Mozart, Beethoven o Chopin con i propri tratti stilistici, i colori irripetibili». La nuova generazione under 40 sembra aver assimilato quelle critiche, cercando di dare un’impronta ben precisa al suo modo di suonare, talvolta, grazie ad alcuni protagonisti, affermando il proprio stile. Intanto, nelle sale da concerto, assistiamo a un lento cambiamento dei programmi: non sono stati abbandonati i tradizionali punti di riferimento del repertorio, ma viene dato maggior rilievo a brani tecnicamente di media difficoltà, suggestivi nel loro colorito esotismo e molto sentimentali, del genere di alcuni di Albeniz e Grieg o a compositori un tempo reputati minori come Mompou, Satie, Rachmaninov e Medtner, e sempre più spesso fanno capolino la musica barocca trascritta per il pianoforte, quella del ventesimo secolo, quella dei contemporanei, il jazz e financo un tocco di pop.
Ma i cambiamenti più visibili riguardano il look: la 31enne cinese Yuja Wang, a esempio, ha grandi capacità comunicative e successo mediatico, non a caso il suo ultimo recital solistico a Santa Cecilia, in abito lungo con grande spacco velato e schiena nuda, è stato accolto con un tifo da stadio (è miracoloso come riesca a padroneggiare i pedali del suo strumento con i tacchi a spillo che spesso calza). E non è affatto una sprovveduta, tecnicamente: come Lang Lang studiò con Gary Graffman, a sua volta allievo di Horowitz, al Curtis Institute di Filadelfia. Non a caso il suo cavallo di battaglia sono gli autori russi, nei quali eccelle per la capacità di ricrearne i colori accesi e il brillante virtuosismo digitale. Per tracciare un ritratto della generazione under 40, ci vengono in mente venti nomi.
Dopo Yuja, il suo 36enne compatriota Lang Lang, da qualche mese bloccato per una fastidiosa infiammazione al braccio sinistro dalla quale si sta riprendendo. È ormai un fenomeno sociale: quando L’Espresso lo intervistò circa un anno fa, contava sull’on line 11 milioni di follower sul sito Sina Weibo e 12 milioni sul Tencent Weibo. Sul suo operato a dire il vero la critica ha sentenziato opinioni difformi. C’è Piero Rattalino che sottolinea come il fenomeno mediatico esista perché prima di tutto il cinese è un interprete eccellente. E Paolo Isotta, che vede nella sua maniera di esibirsi «un cocktail che contiene al 50 per cento Chopin e al 50 per cento Frank Sinatra». Lang Lang accettò divertito quest’ultima affermazione: «In effetti quando fraseggio una melodia e cerco di “cantare” al pianoforte, ho sempre in mente Chopin. Egli è, probabilmente, il compositore più lirico che abbia mai scritto per questo strumento. Sinatra poi è uno dei maggiori cantanti del Ventesimo secolo e il mio amico e mentore Nikolaus Harnoncourt mi insegnò a fraseggiare una linea melodica come avrebbe fatto Sinatra».
Un altro suo connazionale, il 36enne Yundi Li, pare l’opposto del supermediatico Lang Lang: timido, un’antipatia per le estrosità virtuosistiche fini a se stesse. Senz’altro questo atteggiamento ha giovato alle sue poetiche interpretazioni chopiniane. Proprio con il successo del concorso di Varsavia dedicato al compositore polacco è entrato a diciotto anni nel firmamento dei “pianisti che contano”. D’aspetto asiatico (dovuto alla madre) e nazionalità tedesca (al padre) pure la trentenne Alice Sara Ott. Il mondo culturale è di lingua germanica, con studi al Mozarteum di Salisburgo a partire dai dodici anni, come il suo più grande amore musicale: Bach (ma le piace anche ascoltare i Pink Floyd, Led Zeppelin e i Queen). La delicata sensibilità del Sol levante ha invece influenzato la sua indole romantica, come dimostra il suo cd “Wonderland”, consacrato a Grieg, dove esprime al meglio il suo eccellente gusto timbrico. Viene dall’Oriente anche Seong-Jin Cho, il ventiquattrenne pianista sud-coreano che si è conquistato il prestigioso Premio Chopin di Varsavia nel 2015. Suona, come quasi tutti i vincitori dei grandi concorsi pianistici, con una maestria che si può raggiungere solo attraverso una lunga e meticolosa preparazione. Un Mozart, il suo, contraddistinto da eccezionale libertà di fraseggio, con abbondante uso del pedale.
Ovviamente in questa sfilata di nomi non potevano mancare i pianisti di scuola russa. In particolare Daniil Trifonov, 27 anni, che in un recente concerto scaligero ha confermato di appartenere al miglior genere di virtuosismo pianistico. Doti che fanno venire in mente le parole di Heinrich Neuhaus, il maestro di alcuni dei più grandi solisti usciti dal Conservatorio di Mosca, quando ricordava che la parola “virtuosità” proviene dal latino “virtus” che significa “valore”. E con Trifonov abbiamo appunto la vera “virtus” a uno stato puro, in quanto questo “valore-virtuosità” è strettamente legato alle due basilari categorie musicali, ovvero al ritmo e al suono, caratterizzato da potenza, pienezza, levigatezza, “iridescenza”, come scriveva Neuhaus.
È l’affinità con il compatriota re del pianoforte Vladimir Horowitz, a caratterizzare il 34enne Alexander Romanovsky, già vincitore del prestigioso premio Busoni. Intanto l’origine ucraina, poi una certa somiglianza fisica, ma ciò che più conta, l’amore per Rachmaninov, autore al quale ha dedicato alcune delle sue esibizioni più convincenti. L’ultimo prodotto prestigioso della scuola russa, cresciuto all’Accademia Gnessin di Mosca, è il 17enne Alexander Malofeev. Il suo entusiasmo per il pianoforte è tale che arriva a suonarlo dalle 12 alle 14 ore al giorno, mettendo il silenziatore di notte per non disturbare i vicini di casa. Un viso ancora imberbe e due manone che spiccano su un fisico da ragazzino. È ignaro di giochi all’aperto, discoteche e palestre, però già a 8 anni suonava uno dei concerti più amati della letteratura pianistica, il Primo di Ciaikovskij, sfoggiando una tecnica delle ottave impressionante.
Fra i pianisti d’indole slava abbiamo il trentaduenne polacco Rafal Blechacz, anche lui vincitore dello Chopin. Simpatico, quando sostiene di non avere mai vissuto crisi emotive così forti da non poter essere risolte a tu per tu con il pianoforte. Il suo Chopin, secondo lo storico della musica Bruno Cagli, sembra filtrato dallo stile Biedermeier: più Mendelssohn che i furori del romanticismo. D’origine polacca è pure il 23enne canadese Jan Lisiecki, protagonista in una delle ultime esibizioni pubbliche di Abbado con un Quarto concerto di Beethoven che sciorinò con tocco leggero e frasi modellate con certosina cura timbrica, padrone di un fluido fraseggio. La sua carriera iniziò quando fanciullo incise i due concerti per pianoforte e orchestra di Chopin pubblicati dietro precisa volontà dell’Istituto Chopin. Le sue affinità elettive volgono verso il primo romanticismo.
Dotato di verve anticonformista è il 37enne lussemburghese Francesco Tristano, allievo della Juilliard School: a dimostrazione di ciò le sue integrali di Berio e delle “Toccate” di Frescobaldi rilette al pianoforte, il suo passare dalla tastiera al sintetizzatore con sovrana indifferenza, da un’esecuzione delle “Variazioni Goldberg” a una performance berlinese con Derrick May, pioniere della Techno. Anche il 26enne britannico Benjamin Grosvenor presenta programmi capricciosi e intelligenti. Al Manzoni di Bologna un paio d’anni fa lo ricordiamo protagonista di un concerto con musiche di Mendelssohn, Chopin e, dopo l’intervallo, Ravel e Liszt, con bis di Mompou, Dohnanyi e Gershwin trascritto da Grainger. In ogni sua performance i brani sono narrati come un racconto, ora creando sapientemente contrasti drammatici, ora levitando minuetti onirici ed eleganti. Un altro spirito eclettico è quello del 28enne parigino Lucas Debargue: ama il jazz e l’improvvisazione e possiede una tecnica molto personale con una diteggiatura anarchica. Ma il risultato finale è quello di un virtuosismo di livello superiore. Al Concorso Ciaikovskij di Mosca provocò passioni e clamori e vinse il gran premio della critica «per la sua libertà creatrice» Arrivando agli italiani segnaliamo Beatrice Rana, 25enne pugliese, che ha avviato un’importante carriera dopo il secondo premio al Van Cliburn di Fort Worth. I suoi insegnanti sono stati Benedetto Lupo in Italia e, ad Hannover, l’israeliano Arie Vardi. «Il primo mi ha rivelato con grande generosità i segreti del mestiere. Indispensabili, perché l’arte di suonare il pianoforte ha aspetti manuali molto importanti. Con Vardi ho approfondito i temi dell’ispirazione artistica, della reciproca influenza culturale con altri mondi simbolici, a esempio con la letteratura». Per il 29enne bresciano Federico Colli il suo cd Chandos appena uscito dedicato alle sonate di Scarlatti è un magnifico biglietto da visita. Ascoltandolo, vengono in mente le parole che ha speso per lui la prestigiosa rivista “Gramophone”: «Una brillantezza cristallina di lettura che ti porta nel cuore di tutto ciò che suona». Così queste sonate, immaginativamente eseguite e differenziate sgranando con precisione ogni singola voce del tessuto contrappuntistico.
Daniele Pollini, 40enne figlio di cotanto padre, ama la musica in toto, padroneggiandola nelle vesti di compositore, direttore d’orchestra e, ovviamente, pianista. Nel suo ultimo disco ha proposto un programma giocato sui suoi eclettici gusti musicali: Chopin, Scriabin, Stockhausen, cavandosela con la disinvoltura e il senso della forma tipici di chi è di casa con le partiture. Il brianzolo Filippo Gorini, classe 1995, pupillo di Alfred Brendel, esibisce in disco le “Variazioni su un tema di Diabelli” di quello che pare essere il suo nume tutelare, Beethoven, mostrando ottima tecnica nei passi più impervi e “cantando” impeccabilmente nei momenti più lirici. Paolo Pinamonti, direttore artistico del San Carlo, lo ricorda pure per una spavalda interpretazione della Sonata opera 109, eseguita rispettando i tempi metronomici del compositore tedesco.
Gianluca Cascioli, 39enne torinese, la cui carriera iniziò nel 1994 con la prestigiosa vittoria al Concorso pianistico “Umberto Micheli” in una giuria presieduta da Berio e Pollini, ha sempre privilegiato la musica del Novecento, ma interessante è anche il suo Mozart ricco d’espressione. «Non ammiro molto quei musicisti che lo interpretano semplicemente come se fosse un compositore rococò che scrive musica graziosa ed elegante», ci spiegò. Pure Vanessa Benelli Mosell, pratese di trent’anni, ama la musica del Novecento: non ha dubbi sul momento che le ha cambiato la vita artistica, vale a dire l’incontro con il compositore tedesco Karlheinz Stockhausen. E infatti di questo repertorio, che nei concerti affianca a quello più consueto, è divenuta affidabile interprete. Il 35enne veneziano Alessandro Taverna,
infine. Ha avuto un grande estimatore, a inizio della sua carriera, conosciuto grazie all’estemporanea iniziativa di un amico, che mandò una sua registrazione alla Fondazione Keyboard Trust di Londra che seleziona giovani pianisti: Lorin Maazel lo invitò perciò al Festival di Castleton. Suonarono insieme Prokofiev a Monaco e a Vienna e così gli si aprirono le porte della stima critica, tanto che “The Independent” l’ha paragonato, per lo scrupoloso dominio delle sonorità, a Benedetti Michelangeli.
Ci sarebbe pure molto da scrivere di Gloria Campaner, Giuseppe Andaloro, Giuseppe Albanese, Alessandro Marangoni, Mariangela Vacatello, Vincenzo Maltempo, Emanuele Delucchi, Katia Buniatishvili, Behzod Abduraimov, Michail Lifits, Kirill Gernstein, Dmitrij Shishkin, Leonora Armellini, Mauro Bertoli e Ginevra Costantini Negri. Lo faremo in futuro.