I nuovi documenti fotografano le reazioni allo scandalo tra 2016 e 2017: denunce contro i cronisti, professionisti infuriati, politici e sceicchi che cercano i soldi. E le autorità fiscali hanno già incassato più di un miliardo

«Il cliente? È scomparso. L'ho cercato ovunque ma non c'è più». «La situazione è imbarazzante. Ridicola». «Sembriamo dei dilettanti, alle prese con operazioni finanziarie alla Topolino». Era successo di tutto all'indomani della pubblicazione dei Panama Papers, il mega scandalo finanziario esploso il 3 aprile del 2016, frutto di una inchiesta giornalistica che è valsa un premio Pulitzer ai 380 cronisti dell’International Consortium of Investigative Journalists (Icij). E’ il network che ha raccontato gli affari – dagli anni '70 al 2015 – dello studio legale panamense Mossack Fonseca, fornitore di società offshore in numerosi paradisi fiscali a disposizione dei ricchi e potenti di tutto il mondo.

Ora una seconda fuga di documenti svela nuovi tesori segreti di personalità della politica, economia, sport e spettacolo, con una nuova puntata dei Panama Papers, e rivela anche il panico e il caos che ha segnato la fine dello studio Mossack Fonseca. Le nuove carte includono documenti interni, email, copie dei passaporti dei beneficiari e atti dei procedimenti penali avviati in vari stati: una massa di materiale inedito, che va dall'inizio del 2016 alla fine del 2017. Le nuove informazioni sono state ottenute dallo stesso giornale tedesco che aveva ricevuto i primi documenti, Süddeutsche Zeitung, che li ha condivisi con il consorzio Icij e i suoi partner, fra cui l'Espresso in esclusiva per l'Italia. Il nostro settimanale pubblicherà nel numero in edicola da domenica 24 giugno i nuovi nomi degli italiani con i soldi nei paradisi fiscali.

Panico a Panama City
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20/6/2018
La nuova inchiesta giornalistica internazionale fotografa gli effetti dei Panama papers nel riservatissimo mondo delle offshore. Nel 2016, già prima della pubblicazione degli articoli su 107 testate internazionali, le email e i telefoni dello studio Mossack Fonseca vengono presi d'assalto. A scrivere e chiamare sono soprattutto le società che hanno fatto da tramite (avvocati, consulenti, commercialisti), ma anche qualche titolare delle offshore (beneficial owner), che chiede conto e spiegazione delle domande rivolte dai giornalisti su quelle società-cassaforte fino ad allora segretissime. Addio riservatezza. E lo studio che fa? Prova a salvare il salvabile, organizzando una reazione, come si scopre grazie al milione e 200 mila nuovi documenti ora disponibili. Così i dipendenti di Mossack Fonseca (Mossfon) si mettono di buona lena a rispondere alle centinaia di email inviate a un apposito indirizzo email aperto per fronteggiare il disastro: CrisisCommitte@mossfon.

Non solo, all'improvviso l'attività quotidiana dei dipendenti di Mossack Fonseca cambia: la priorità non è più creare società di comodo nei paradisi fiscali, bensì ricercare furiosamente l'identità dei beneficiari. Già, perché per anni lo studio ha sorvolato sulle regole internazionali che impongono di specificare e verificare l'identità dei propri clienti, per evitare che, dietro all'anonimato, possano celarsi criminali, truffatori, mafiosi o politici corrotti. Dunque, nei mesi successivi alla bufera mediatica dei Panama Papers, i dipendenti di Mossack Fonseca cercano di riempire i tanti vuoti nei registri delle società. E così inviano messaggi a raffica agli indirizzi di posta elettronica di banchieri, contabili e avvocati, cioè ai professionisti e intermediari che avevano richiesto l'assistenza di Mossack Fonseca per costituire le offshore per conto dei propri facoltosi clienti, che invece avrebbero voluto restare anonimi. Alcuni di quegli stessi intermediari rispondono picche: «Il cliente? Scomparso». Altri si indignano: «Sembrate dei dilettanti». «Tutto questo è ridicolo», scrive ad esempio Eliezer Panell, un avvocato della Florida, esasperato dal pressing di mail quotidiane inviate da Mossack Fonseca, nel tentativo di ottenere i documenti per identificare i titolari di due società.

Due mesi dopo lo scandalo, Mossack Fonseca si arrende di fronte all'evidenza del gigantesco deficit di informazioni nei propri registri: una email interna conferma che restano ignoti i proprietari di oltre il 70 per cento di 28.500 società delle Isole Vergini britanniche, così come il 75 per cento delle 10.500 offshore di Panama, mentre alle Seychelles l'anonimato è quasi totale.

«Arrestate i giornalisti»
Non conoscere l'identità dei reali beneficiari delle società di comodo registrate nei paradisi fiscali, significa rischiare un'infinità di guai legali sia per Mossack Fonseca, sia per i clienti finali, che rischiano il blocco delle offshore e quindi dei capitali che custodiscono. Così, il giorno dopo la scoperta della fuga di notizie, i capi di Mossack Fonseca entrano nel panico. Al punto da richiedere al procuratore generale di Panama di avviare un'indagine, fermare e «interrogare urgentemente» i giornalisti, provenienti da Francia, Danimarca, Australia, Stati Uniti e Germania, che in quei giorni s'aggirano nella capitale per preparare gli articoli poi pubblicati nell'aprile 2016.

«Ai giornalisti non deve essere permesso di lasciare Panama o l'Hilton Hotel dove alloggiano, finché non rivelano come hanno ottenuto i documenti da Mossack Fonseca», tuona l'avvocato dello studio, senza successo.

I tentativi di fermare i cronisti si susseguono in tutti i paesi del mondo. Ad esempio Nicole Didi, una consulente svizzera, scrive una email di fuoco ai professionisti di Panama: «Questo giornalista francese vuole pubblicare un articolo sul quotidiano Le Monde che per me non è accettabile!». Pronta, ma inutile, la risposta del coordinatore del servizio clienti di Mossack Fonseca, Jorge Cerrud: «Parlerò con il nostro dipartimento pubbliche relazioni per vedere come possiamo aiutarla».

Politici, sceicchi e star in allarme
In questo clima di caos, per la prima volta, anche i ricchi piangono. Alcune personalità di altissimo profilo sono costrette a precipitarsi da Mossack Fonseca per rivendicare la paternità del proprio conto offshore. I segretari del presidente ucraino Petro Poroshenko, in particolare, spediscono allo studio legale una bolletta dell'elettricità per dimostrare la sua residenza e l'identità personale, dopo che le autorità antiriciclaggio delle Isole Vergini britanniche avevano richiesto a lui stesso la conferma della proprietà della sua offshore. Poroshenko ha poi confermato pubblicamente la titolarità della offshore, spiegando però che era legata alla sua attività di imprenditore e non c'entra con il suo ruolo politico.

Nei giorni dello scandalo, sono molti i potenti che devono scomodarsi. Perfino il presidente degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahyan, si attiva per spedire a Panama la copia del proprio passaporto e i documenti dei familiari.

Tra la corrispondenza archiviata dallo studio ci sono anche 17 email della star hollywoodiana Jackie Chan, cliente di Mossack Fonseca, che fornisce in tutta fretta la copia del proprio passaporto e una dichiarazione di American Express, nel tentativo di mantenere attive le sue società offshore per la produzione e distribuzione di film. In formato esentasse.

E il fisco incassa oltre un miliardo
Poi ci sono le reazioni giudiziarie. Nel febbraio 2017 il procuratore generale di Panama, Kenia Porcell, dichiara ufficialmente che una serie di società offshore targate Mossack Fonseca sono state utilizzate per pagare o incassare mazzette in tutta l'America Latina, in connessione con lo scandalo Lava Jato, la colossale Tangentopoli brasiliana.

Altre inchieste sono state aperte dai pubblici ministeri di Colonia, in Germania, per evasione fiscale, sulla base delle notizie pubblicate da Süddeutsche Zeitung. Le procure di mezzo mondo intanto accendono il faro sui tesori esteri dei potenti, mentre le autorità fiscali cominciano a recalamare le tasse non pagate e le sanzioni. Alla fine del 2017, il bilancio legale dei Panama Papers è già notevole: il fisco in Spagna ha recuperato 103,6 milioni di euro, secondo i dati ufficiali del ministero; in Olanda 6,2 milioni; in India le autorità hanno accertato redditi non dichiarati per 162,4 milioni di dollari; in Gran Bretagna si prevedono sanzioni per circa 100 milioni di sterline. Molti altri paesi avviato indagini e in parte già recuperato le imposte evase. In totale, nel 2016, le autorità fiscali della Corea del Sud risultano aver incassato un miliardo e 180 milioni di dollari.

Anche in Italia sono in corso numerose indagini che partono dai Panama Papers. L'Agenzia delle entrate ha comunicato di aver messo nel mirino una prima lista di 800 italiani con società offhore aperte dallo studio di Panama. Altre indagini, anche penali, sono state avviate da Roma a Milano, da Torino alla Campania e alla Sicilia. Ma le inchieste più importanti sono ancora segrete.

(hanno collaborato Will Fitzgibbon e Ben Hallman)