"Ponte Morandi, ispezioni difformi a standard" Autostrade ammette le prove fallite sui tiranti

La società risponde all'inchiesta dell'Espresso: le indagini, per essere correttamente eseguite, dovrebbero forare gli stralli da parte a parte, cosa non possibile per la presenza dei cavi interni

Durante alcune importanti ispezioni sul ponte Morandi, c'erano difformità tra quanto prescrive l'ingegneria e il metodo di indagine seguito. La società di gestione lo ammette per la prima volta: «Le cinque prove cosiddette fallite erano in realtà tentativi di verificare, con procedure difformi rispetto a quelle standard, il grado di tensione del calcestruzzo dello strallo».

La frase è scritta nel comunicato diffuso da “Autostrade per l'Italia” come risposta all'inchiesta pubblicata da L'Espresso venerdì 21 settembre che, nell'edizione online, rivela l'esistenza di un rapporto shock dei tecnici di Spea Engineering. Lo studio di progettazione, collegato alla concessionaria, descrive così le condizioni di conservazione del cemento armato delle pile 9, quella crollata, e 10, oggi pericolante: «I valori misurati non permettono nemmeno una fantasiosa interpretazione», dichiarano gli ingeneri in una relazione, allegata al progetto esecutivo per il potenziamento del viadotto approvato dal ministero delle Infrastrutture.

Gli stralli sono le bretelle di calcestruzzo che sostenevano il ponte, attraversate ciascuna da 52 tiranti: il collasso è attribuito alla rottura di uno strallo del pilone 9 per la corrosione dei tiranti oppure al cedimento di più travi del piano autostradale al passaggio di un Tir carico di acciaio che, per il contraccolpo, avrebbe provocato il successivo crollo dell'intera struttura.

Fallite le cinque prove sul calcestruzzo, eseguite nell'ottobre 2015 con procedure quindi difformi rispetto a quelle standard, le direzioni tecniche di Autostrade ritengono comunque di conoscere lo stato di salute del ponte grazie alle indagini riflettometriche “Rimt-Reflectometric Impulse Measurement” concluse nel 2015 e nel 2017.

Il metodo consiste nell'invio di impulsi ad alta frequenza nei tiranti d'acciaio interni: la registrazione della loro riflessione dovrebbe rivelare anomalie invisibili provocate dalla corrosione o dalla presenza di spazi vuoti. In base a queste valutazioni, dieci mesi prima del crollo il progetto esecutivo sostiene addirittura che «risulta uno stato di conservazione degli stralli delle pile 9 e 10 discreto», con una riduzione per corrosione dei cavi dei tiranti «dal dieci al venti per cento».

La strage di Genova dimostra però che questi metodi di ispezione non diretta dei cavi interni continuano a nascondere brutte sorprese poiché i risultati sono sempre approssimativi, come spiega nella sua relazione pubblicata pochi giorni fa la commissione ispettiva del ministero delle Infrastrutture.

Il fiasco delle indagini sul calcestruzzo è invece apertamente dichiarato. I tecnici di Spea-Autostrade su cinque prove ne falliscono quattro e una dà risultati contrari alle attese. «Tali prove», spiega ora la società in base alle risposte fornite dalle proprie strutture tecniche, «per essere correttamente eseguite, dovrebbero prevedere la foratura con carotatrice dell'intero spessore dello strallo: cosa evidentemente impossibile nel caso specifico, vista la presenza di cavi all'interno. Si tentò, pertanto, una verifica della tensione con carotatura superficiale che, come correttamente riportato, non ha potuto dare alcun risultato leggibile. Peraltro, il livello di tensionamento del calcestruzzo è stato determinato con la modellazione, i cui risultati sono stati inseriti nel progetto». Tutto questo non ha impedito il crollo. E nemmeno salvato la vita a quarantatré persone.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso