Il giornalista dalla schiena dritta punta il dito da settimane contro il salotto trash di Canale 5. Ma nello studio dello "zio Massimo" il proclama contro il gioco asservito della tv lascia il tempo che trova

Bravo, bravissimo Massimo Giletti che spinge perché si faccia luce nell’oscuro mondo dell’informazione. Giusto, giustissimo l’accanimento contro il salotto della vanvera targato Mediaset per aver sorvolato in maniera vergognosa sui legami tra camorra e cantanti neo melodici. Sacrosanto, sacrosantissimo richiamare il giornalismo alle sue responsabilità. Questo dovrebbero fare i programmi che tengono alla qualità come molla primaria dell’ingranaggio. E per questo le note stonate stridono come unghie sulla lavagna quando, come Michele Apicella, Giletti ondeggia tra il dire e il fare. «Che dici, vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo, ci vediamo là. No, non mi va, non vengo». La telefonata cult di Ecce Bombo sintetizza non troppo alla lontana il dito puntato del giornalista di Non è l’Arena che vuol far credere ai più di non avere ancora deciso cosa fare da grande.

Così se da una parte la mala tv è il talk Live non è la D’Urso della signora Barbara, come si premura di sottolineare a ogni piè sospinto al punto da rasentare la forma nervosa, dall’altra di quel medesimo vacuo estremo si nutre e si ingrassa, sino a raggiungere impressionanti vette di somiglianza.

Passino le verità scomode su Pamela Prati e il non matrimonio del secolo. Passino gli scabrosi ospiti ripresi di spalle che tanto ricordano le famigerate cinque sfere. Passino le polemiche di fuffa, gli scontri costruiti a tavolino per amor di audience come carte del Memory (Adinolfi vs la professoressa trans, ex brigatista vs Santanchè e via dicendo di questo claudicante passo) e il saltellare come quaglie da un argomento al successivo (dalla prostituzione libera ai parcheggiatori abusivi passando per sex toys) senza uno straccio di conseguente linearità.

Ma qualcosa non passa, si strozza in gola e risulta indigesto. Come quel proclama continuo e fiero contro il gioco asservito della tv, portato avanti da chi, facciamo un esempio a caso, ospita a ripetizione Matteo Salvini, e dopo aver mandato un bacio a sua figlia («Dallo zio Massimo») lo lascia a briglie sciolte, facendosi sorvolare addosso pezzetti di comizio come per comporre un grande puzzle. Così dal suo sgabello con le mani giunte, non solo non si scompone mentre il segretario della Lega minimizza sull’Olocausto («Negarlo è da cretini come quelli che negano i massacri del comunismo»), sul razzismo («Difendo il diritto di giocare di Balotelli senza bu bi ba ma penso che gli italiani abbiano problemi più gravi»), su Vox («Macché fascisti, vogliono solo che entri in Spagna chi ne ha diritto»). Ma sostituisce come se nulla fosse le domande con il tema a piacere.

A volte la schiena dritta gioca brutti scherzi. Persino sotto testata giornalistica.

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