Mentre il partito cerca un nuovo leader, il suo ex segretario Franceschini si butta nel ramo case vacanze in Emilia-Romagna

Nuova piega, speriamo non piaga, in casa Pd. In tempi di crisi e di complessità non resta che puntare su casa e famiglia, meglio che su casa e chiesa visti i trambusti sia pur goderecci in Vaticano e meglio che su casa e bottega visto l’esangue momento del commercio. Intercettando la linea, l’onorevole piddino Dario Franceschini, ex segretario, ex pluri ministro - ai Beni Culturali ha fatto assai bene - e scrittore di successo ha deciso di investire nella casa, è il caso di pensare al futuro coi venti verdi, più che gialli forse, che soffiano in poppa e le raffiche che tirano nel Pd.

Ha trasformato Dimora Marfisa d’Este, la sua bella casa di famiglia a Ferrara, in un Bed&Breakfast raffinato con una biblioteca da ventimila volumi che il governo in carica certo sconsiglierebbe. Al momento non c’è Franceschini alla reception ma non è affatto detto, dipende dalla fortuna degli ospiti e dalle baruffe gaglioffe nella casa dei democratici.

Dalla casa di famiglia di Franceschini alla linea familiar-politica evocata anche dai moniti dell’indimenticato Romano Prodi. In un’intervista (“Repubblica”, Andrea Bonanni) ha sostenuto la tesi che per la rianimazione del partito sarebbe il caso di trovare «un padre», non lui, si è schermito facendo quasi le corna di fronte all’apocalittica possibilità, «al massimo sono un nonno». Vista l’affettuosità da iena che caratterizza il Pd e i suoi fratelli il consiglio certo auspicabile sembrerebbe una chimera, per non dire uno sfrugugliamento. Ma considerando quanto i clan familiari pullulino spesso di parenti serpenti, allora l’ardito paragone ci sta.

Non che per i politici famiglia e padri siano sempre degli atout, dei valori simbolici ad alto grado di riuscita. Negli ultimi tempi sono finiti al centro di grandi pasticci, basti pensare ai papà degli ultimi arrivati, a Antonio Di Maio genitore del vice premier Luigi, con manufatti abusivi, dipendenti in nero. O a Vittorio Di Battista papà di Dibba, orgogliosamente fascista, titolare di una società assai indebitata, autore del paragone tra Quirinale e Bastiglia e per questo indagato, ultimamente più freddo verso il Movimento. «So’ scojonato», ha spiegato in politichese. Vanno citati anche i guai che i papà di Renzi e Boschi hanno causato ai loro figlioli sennò poi si rischia l’indulgenza.

Il “nonno” Prodi passerà alla Storia anche per aver sgominato per ben due volte Silvio Berlusconi detto papi, impresa fallita a tutti, grazie all’intuizione allora vincente: «L’Italia ha bisogno d’affetto». Non sembra che oggi sia questa l’esigenza primaria del Paese ma il Professore è convinto che il Pd abbia bisogno di un padre e secondo lui può esserlo Nicola Zingaretti se si applica e studia. Sempre che i parenti serpenti non tramino e non lo tormentino, che zio D’Alema non si ripresenti con le sue pretese. Tanto che zia Rosy (Bindi) ha manifestato le sue perplessità sul fatto che tra i sostenitori del governatore del Lazio ci siano anche «gli artefici delle fasi precedenti».

Intanto Andrea Camilleri spiega che Montalbano, il personaggio interpretato in tv da Luca Zingaretti, fratello di Nicola, (neanche a farlo apposta) è «il padre che tutti vorremmo», il primo episodio del commissario sgomina in termini di share Salvini ospite a “Porta a Porta” e a Sanremo Mahmood vince con una canzone dedicata a un genitore. Non è detto invece che al candidato Zingaretti doversi trasformare in un padre del Pd in fondo faccia così piacere e piuttosto non abbia il potere di invecchiarlo politicamente e di comunicare un’appartenenza al passato non che sia un demerito, dipende dal momento e dal contesto. Nel frattempo a Zingaretti viene affiancato spesso il nome di Carlo Calenda, personaggio più vivace che fa il diavolo a quattro, certo più a figlio che padre e autore del best seller dal sobrio titolo “Orizzonti selvaggi”.

In casa Pd la partita è lunga e tutta da giocare. Comunque vada, padre o no, rianimazione del partito o no l’hotel Franceschini al secolo Dimora Marfisa d’Este ha aperto stanze e saloni ricchi di storia e libri (del suo papà il partigiano Giorgio). È pur sempre una casa del Pd.