Un incontro segreto a Mosca. E una trattativa coi russi per finanziare la Lega. L'escamotage: una mega partita di gasolio. Il disegno: aiutare i sovranisti a vincere le elezioni europee. E dopo sei mesi spunta l'audio dell'incontro

AGGIORNAMENTO 10 LUGLIO: Il sito americano BuzzFeed news riprende le inchieste dell'Espresso e pubblica l'audio dell'incontro tra Savoini e i rappresentanti russi il cui contenuto è stato raccontato da questo nostro servizio esclusivo

Un affare a sei zeri per finanziare la Lega in vista delle elezioni europee. Soldi russi per i nazionalisti italiani del vicepremier Matteo Salvini. Lo stesso che ha dichiarato pubblicamente di non essere interessato ai denari di Vladimir Putin, ma di sostenerlo per pura sintonia politica. La trattativa per finanziare la Lega è stata portata avanti in questi mesi nel più assoluto riserbo. Riunioni, viaggi, email, strette di mano e bozze di contratti milionari. Da un lato del tavolo uno dei fedelissimi di Salvini, dall’altro pezzi pregiati dell’establishment putiniano. Al centro, uno stock di carburante del tipo “Gasoil EN 590 standards Udsl”. Almeno tre milioni di tonnellate di diesel, cedute da una compagnia russa e acquistate da un’azienda italiana. Una compravendita grazie alla quale il Cremlino sarebbe in grado di rifocillare le casse del partito di Salvini alla vigilia delle europee del prossimo maggio. Il condizionale è d’obbligo, perché nel momento in cui scriviamo non sappiamo se l’affare si è concluso. Possiamo però indicare con certezza diversi fatti che compongono questa trama internazionale ambientata tra Roma, Milano e Mosca. E soprattutto possiamo rivelare gli obiettivi dichiarati: sostenere segretamente il partito di Salvini. La forza politica di destra che attualmente cresce di più in Europa. Capace, dicono i sondaggi, di fare da traino agli altri movimenti sovranisti del Vecchio Continente.

La trattativa per finanziare la Lega che raccontiamo sull’Espresso è uno dei capitoli de “Il Libro nero della Lega”, edito da Laterza, in uscita il 28 febbraio. Un’inchiesta giornalistica sul lato oscuro del partito di Matteo Salvini: dai 49 milioni di euro della truffa, ai candidati impresentabili del Sud Italia fino, appunto, all’internazionale sovranista, che da Mosca arriva fino a Washington passando per il Vaticano.

Ma torniamo alla trattativa per il finanziamento. Il perno attorno al quale ruota la vicenda è l’ex portavoce del vicepremier, Gianluca Savoini. «Il consigliere» di Matteo: così lo definiscono i media russi negli articoli in cui si lodano le attività della sua associazione Lombardia-Russia e le prese di posizione della Lega contro le sanzioni imposte dall’Europa alla Russia. Pur non avendo un ruolo ufficiale né nel partito né nel governo, Savoini è sempre stato presente durante le visite ufficiali di Salvini a Mosca. Ha sancito l’alleanza tra la Lega e il partito di Putin, Russia Unita. Ha fatto decine di viaggi a Mosca, in Crimea e nel Donbass. E ha condotto fin dall’inizio la trattativa per il finanziamento russo.

 

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Ma andiamo con ordine. Iniziamo da un indirizzo. Al numero 31 di Novinsky Boulevard, uno stradone a sei corsie di Mosca, a tre fermate di metropolitana dalla Piazza Rossa, c’è un palazzo moderno di vetro e cemento rosso. Sullo sfondo svetta una delle cosiddette “sette sorelle”, gli imponenti grattacieli fatti realizzare da Stalin ai prigionieri dei gulag. Nel palazzo, al piano terra, c’è un grande centro commerciale, con negozi e ristoranti. Sopra ci sono gli uffici di alcune delle più grandi multinazionali al mondo: ExxonMobil, Repsol, Shell, Glencore, Samsung. Al quinto piano c’è invece un’azienda poco nota. Si chiama Tsargrad, almeno così è indicato sulla parete a vetro retroilluminata all’ingresso dell’edificio. Di chi è? È una delle tante società dell’oligarca Kostantin Malofeev. Un’azienda editoriale con un sito e una tv, che si dedica a veicolare messaggi religiosi in linea con le politiche conservatrici del Cremlino. Nello stesso ufficio, il numero 1, sono registrate altre due imprese. Una è la Marshall Capital, il fondo d’investimento dell’oligarca. L’altra è una piccola e sconosciuta azienda petrolifera. Si chiama Avangard oil & gas, non ha attualmente un sito Internet (scomparso dalla rete nei giorni in cui stavamo per finire di scrivere) né una presentazione pubblica dei suoi proprietari e dei suoi asset.

Seguendo la Avangard si arriva però direttamente a Savoini, l’emissario di Salvini in terra russa. Alcuni documenti testimoniano infatti che l’ex portavoce del leader leghista è stato in contatto diretto con il direttore generale della Avangard, Alexey Mustafinov. Una trattativa con tanto di offerta commerciale, inviata dalla società petrolifera russa a luglio del 2018 e ricevuta da Savoini. Oggetto: la vendita di un quantitativo di gasolio. In seguito la Avangard è uscita di scena, ma l’affare non è sfumato. Anzi.

L’OLIGARCA DI DIO
Prima di entrare nei dettagli della trattativa è utile approfondire la figura di Mr K, ossia Konstantin Valerevich Malofeev. Il collegamento più evidente tra lui e la Lega è Alexey Komov, suo grande amico, che il 15 dicembre 2013 era presente all’incoronazione di Salvini a segretario del partito al Lingotto di Torino. Komov è l’ambasciatore russo del World Congress of Families, associazione internazionale che si batte contro l’aborto e le unioni tra omosessuali, e lavora per Malofeev nella San Basilio, la più grande fondazione russa sostenuta da fondi privati. Oligarca moscovita classe 1974, laureato in legge, Malofeev è un finanziere che ha iniziato la carriera lavorando per alcune banche russe, poi nel 2005 ha fondato la Marshall Capital, diventata oggi una delle principali società di investimento del Paese, con in passato quote importanti anche in società di Stato della Federazione come Rostelecom. Il finanziere moscovita non è solo uno dei tanti paperoni locali. È un fedelissimo di Putin sospettato da Stati Uniti e Unione europea di aver finanziato la conquista della Crimea e la guerra nel Donbass, motivo per cui il Tesoro statunitense e il Consiglio d’Europa lo hanno inserito nella black list. È accusato anche di aver avuto un ruolo attivo nei rapporti finanziari tra il Cremlino e i francesi del Front National.
 

Come rivelato dalla testata “Mediapart” nel 2015, il miliardario russo avrebbe infatti contribuito ad agevolare il prestito da 9 milioni di euro ottenuto dal partito di Marine Le Pen tramite una banca controllata da Mosca (la First Czech Russian Bank) e un altro di 2 milioni da una società cipriota (la Vernonsia Holdings). Scorrendo l’elenco delle aziende e delle fondazioni di Malofeev, l’impressione è quella di trovarsi di fronte a un impero economico globale. Alcune di queste società di famiglia portano alle Isole Vergini Britanniche, alle Seychelles, a Cipro.

Paradisi fiscali dove i capitali sono anonimi e possono circolare con estrema facilità. Ma questa non è una novità per oligarchi del suo calibro. Ciò che colpisce è l’ideologia del personaggio. E le sue connessioni con diversi sovranisti europei di estrema destra. L’imprenditore russo si definisce monarchico, spera nella restaurazione zarista sulla Moscova. Chi sarebbe il suo zar ideale? Vladimir Vladimirovich, ovviamente. «Non ha mai cercato di farsi eleggere, è stato individuato e messo all’opera, e alla fine si è rivelato un inviato di Dio», ha dichiarato nel 2017 al quotidiano britannico “The Guardian”. Malofeev sta lavorando concretamente al suo progetto assolutista, alla restaurazione dell’ancien régime russo. Ha persino fondato un collegio con questo obiettivo. L’ha chiamato Grande Scuola di San Basilio, vuole farne un prestigioso istituto dove allevare l’élite della nuova Russia monarchica, quella che saprà «fornire una spina dorsale all’inevitabile futuro zarista» del Paese.

IL FILOSOFO DI PUTIN
Malofeev sa che per realizzare il suo ambizioso progetto politico deve convincere anche le élite, in patria ma soprattutto all’estero. Perché a livello internazionale l’obiettivo è quello di formare un nuovo continente, un nuovo blocco geopolitico guidato da Mosca: l’Eurasia. Una delle strutture create dal miliardario con questo obiettivo è il “centro analitico” Katehon, un sito in varie lingue che diffonde il conservatorismo dell’estrema destra sovranista in tutta Europa. Tra i collaboratori di Katehon c’è ad esempio Marine Le Pen, la leader francese del Front National, alleata da tempo con Salvini.

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Dall’Italia scrivono invece Alessandro Fiore, figlio del leader nero Roberto, storico capo dell’estrema destra italiana, e alcuni giornalisti di Casa Pound, il movimento degli autodefinitisi “fascisti del terzo millennio”, fondato da Gabriele Adinolfi e per un breve periodo alleato con la Lega di Salvini nel movimento Sovranità. Per il sito Internet del monarchico putiniano ha collaborato anche Savoini. Che a Katehon ha una conoscenza importante. Aleksandr Dugin, il filosofo più ascoltato da Putin, nominato in Italia presidente onorario dell’associazione Piemonte Russia, lavora infatti da tempo per il centro studi di Malofeev. Cura una rubrica dal titolo “Transumanesimo”. Del resto Dugin è vicino fisicamente al think tank del miliardario. Il suo Movimento euroasiatico ha infatti sede allo stesso indirizzo di Katehon, al numero 7 di Tverskaya street, una delle strade più eleganti di Mosca. Che esista un interesse politico comune tra Malofeev e Dugin è quindi certo. I due condividono una visione del mondo anti-occidentale, la negazione dell’omosessualità, le istanze anti-abortiste, la necessità di riportare l’Ucraina sotto il controllo russo, l’egemonia di Putin sull’intera Unione europea. Ma c’è un altro particolare rimasto finora sommerso. Dugin risulta tra i fondatori del “Centro della competenza geopolitica” insieme a Pyotr Suslov. Secondo un’inchiesta pubblicata il 6 febbraio del 2009 dalla “Novaya Gazeta” (il giornale per cui lavorava Anna Politkovskaja, uccisa per aver svelato le violenze russe in Cecenia), Suslov è un personaggio di spicco dei servizi segreti russi. Un veterano che ha condotto operazioni segrete in Afghanistan, Mozambico e Angola, molto introdotto con i vertici della Federazione e attivo anche in affari petroliferi privati in Cecenia. Secondo la ricostruzione della “Novaya Gazeta”, nel 2001 Suslov ha contribuito a costituire il Movimento euroasiatico di Dugin. Questo è insomma il contesto in cui si muove il filosofo più amato dai salvinisti. Da Malofeev agli ex spioni russi, uniti nel nome del tradizionalismo e della devozione per Putin. E degli affari. Già, perché all’ipotesi di concludere l’affare del gasolio con la società Avangard, quella che ha sede nello stesso ufficio della Marshall Capital di Malofeev, se ne affianca una seconda. Che porta direttamente al colosso petrolifero di Stato Rosneft e chiama in causa la società di Stato italiana Eni.

OTTOBRE PADANO
Dugin e Savoini si sono visti spesso negli ultimi mesi. In Italia e in Russia. Lo testimoniano alcune foto di cui L’Espresso è venuto in possesso. Una di queste riguarda un incontro avvenuto in via del Babuino, a Roma, il 25 settembre scorso. L’occasione per un saluto, e anche per ipotizzare una visita del ministro e vicepremier Salvini a Mosca. Viaggio che poi in effetti si è concretizzato, il 17 ottobre 2018, in occasione del convegno organizzato da Confindustria Russia, la filiale presieduta da Ernesto Ferlenghi, storico capo di Eni oltre gli Urali.

Per capire meglio le cose abbiamo seguito la missione di Salvini. E abbiamo scoperto parecchie incongruenze rispetto ai resoconti ufficiali di quei giorni. Partito la mattina del 17 ottobre da Roma con un volo Alitalia, il ministro è atterrato alle 15,45 all’aeroporto Sheremetyevo per poi raggiungere il Lotte Hotel, dove alle 17 era prevista la conferenza organizzata da Confindustria. Seppur seduto nelle prime file, Savoini è rimasto in disparte durante l’evento. Chi ci ha messo la faccia è stato invece Claudio D’Amico, consigliere strategico per l’estero del vicepremier. Tutto normale, protocollo rispettato alla perfezione. Tranne per un particolare. Finito il convegno, dopo i selfie sorridenti, il ministro ha salutato ed è uscito da una porta secondaria del Lotte Hotel. Nessun impegno pubblico nell’agenda ufficiale. Eppure, stando a quanto raccontato da alcuni suoi più stretti collaboratori, la serata non è finita così. Dopo la conferenza stampa, il vicepresidente del Consiglio italiano ha incontrato in gran segreto un personaggio di spicco del Cremlino: il vicepremier Dmitry Kozak, delegato agli affari energetici, uomo della stretta cerchia di Putin. L’incontro è avvenuto nell’ufficio di Vladimir Pligin, un noto avvocato moscovita legato a Kozak, il cui studio si trova al numero 43 di Sivtsev Vrazhek. Perché Salvini, il ministro italiano più attivo sui social network, sempre pronto a condividere con i follower momenti di vita pubblica e privata, non ha voluto comunicare questo faccia a faccia con il suo omologo russo? Alle nostra richiesta di commento inviate a due suoi indirizzi mail - tra cui quella istituzionale del Senato - Salvini ha preferito non rispondere. A destare ancora più curiosità è ciò che è accaduto poco dopo quella notte.

 

GASOLIO A PERDERE
Il giorno seguente siamo stati testimoni di un incontro avvenuto nella hall dell’Hotel Metropol, gioiello architettonico affacciato sulla piazza del teatro Bolshoi. Savoini si presenta in albergo alle 9.30. Si siede insieme a un altro italiano nella maestosa sala-ristorante del Metropol. Dopo circa mezz’ora i due si alzano e raggiungono quattro persone che li attendono nella hall. Si accomodano in uno dei tavoli a poca distanza dal bancone del bar. Siamo riusciti a individuare una persona con certezza: Ylia Andreevich Yakunin, manager molto vicino a Pligin, l’avvocato che la sera prima aveva ospitato l’incontro Salvini-Kozak. Al tavolo c’erano poi un traduttore russo, un avvocato italiano e un altro italiano chiamato Francesco. La compagine ha trascorso oltre un’ora a discutere bevendo caffè espresso. Dopo i convenevoli iniziali, Savoini ha elogiato il sovranismo di Salvini e glorificato l’amicizia con Putin e la Russia. Poi ha spiegato la sua geopolitica per l’Italia: «La nuova Europa deve essere vicina alla Russia. Non dobbiamo più dipendere dalle decisioni di illuminati a Bruxelles o in Usa. Vogliamo cambiare l’Europa insieme ai nostri alleati come Heinz-Christian Strache in Austria, Alternative für Deutschland in Germania, la signora Le Pen in Francia, Orbán in Ungheria, Sverigedemokraterna in Svezia».

Poi ha passato la parola ai tecnici, che hanno trascorso il resto del tempo a disquisire i dettagli dell’affare. Quale? Sempre la stessa questione dibattuta a luglio tra Savoini e il direttore generale della Avangard: una fornitura di carburante russo. Questa volta però della sconosciuta Avangard non si parla più. A vendere il gasolio sarebbe una compagnia di Stato russa. «Rosneft», dicono i russi. A comprare sarebbe invece Eni, l’azienda di Stato italiana. Si parla di grandi quantitativi. I russi propongono 3 milioni di tonnellate di diesel da consegnare in 6 mesi o un anno. L’avvocato italiano dice che non c’è problema: assicura che Eni ha le capacità per comprarne anche di più all’occorrenza. Il diesel verrà venduto dalla major russa con uno sconto minimo del 4 per cento sul prezzo Platts, il principale riferimento del settore. Su richiesta dei russi, le parti si accordano affinché lo sconto sia maggiore, ipotizzano un 6 per cento. Con la promessa che tutto quanto superiore al 4 per cento venga restituito ai russi.

«Questa è una garanzia, loro prendono pure 400... quel cazzo che devono prendere, ma è una garanzia», dice Savoini ai connazionali.

L’operazione ha un’architettura complessa. Non sarà Eni a pagare direttamente Rosneft: i soldi passeranno attraverso una banca europea non meglio specificata e una società russa ancora da scegliere. Dettagli. Qual è l’interesse di Savoini in tutta questa storia lo spiega, dopo una mezz’ora di discussione, l’avvocato italiano alla sua controparte russa: «Il piano fatto dai nostri “political guys” è semplice. Dato lo sconto del 4 per cento, sono 250 mila al mese, per un anno. Così loro possono sostenere una campagna». E ancora: «Questa è solo una questione politica, vogliamo finanziare la campagna elettorale, e questo è positivo per tutt’e due le parti». Insomma, grazie a questo affare con i russi la Lega riceverebbe almeno 250 mila dollari al mese per un anno, cioè 3 milioni di euro in tutto, e userà questi soldi per la campagna elettorale delle europee. A chiarirlo meglio ci pensa subito dopo Savoini, che dice di aver parlato «ieri con Aleksandr, e che secondo lui io rappresento la connessione totale, sia da parte italiana politica che da parte loro». Aleksandr come Aleksandr Dugin, il filosofo preferito da Putin, che in quei giorni Savoini ha certamente incontrato, come dimostrato da una foto pubblicata da “La Stampa”.

L’incontro di cui siamo stati testimoni all’Hotel Metropol si è concluso con un riassunto degli aspetti ancora da decidere. Il tipo di diesel, a cui si potrebbe aggiungere anche carburante per aerei. Il luogo della consegna, con le opzioni Rotterdam o Novorossisk. I soldi da restituire ai russi con l’escamotage dello sconto superiore al 4 per cento. La banca usata da Rosneft, con i russi che suggeriscono Banca Intesa Russia e gli italiani che li rassicurano perché che nel consiglio d’amministrazione c’è già «un nostro uomo... si chiama Mascetti». Come Andrea Mascetti, il leghista che siede nel cda della controllata russa di Intesa.

Era il 18 ottobre 2018. Nel momento in cui abbiamo terminato questa inchiesta giornalistica, non sappiamo com’è andato a finire l’affare, se l’accordo è stato siglato e in che termini. Se quello che abbiamo ascoltato si è tradotto in pratica, però, ci troveremmo di fronte a un clamoroso paradosso: un partito nazionalista, la Lega di Salvini, finanziato per la prossima campagna elettorale europea da un’impresa di Stato russa. Insomma, la principale forza di governo italiana sostenuta da Putin, nemico numero uno della Ue. Il tutto discusso a Mosca da un uomo, Savoini, che non avrebbe alcun titolo per occuparsi di petrolio né tantomeno di finanziamenti della Lega.

 


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MARCO DAMILANO

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