I democratici continuano a mantenere una posizione ambigua nei confronti della famiglia politica a cui aderiranno dopo le Europee

Nicola Zingaretti e Carlo Calenda
A una settimana dalle elezioni europee le prospettive dei progressisti italiani non sono brillanti. L’unica forza politica che, secondo gli ultimi sondaggi, appare in leggera crescita, è il Partito Democratico, che sotto la guida di Nicola Zingaretti avrebbe recuperato un paio di punti rispetto alle elezioni politiche del 2018.

Se dovesse attestarsi intorno al 20 per cento, come dicono le previsioni, il Pd sarebbe in posizione dominante rispetto alle altre formazioni progressiste, alcune delle quali potrebbero persino non superare il quorum. Un risultato deludente se confrontato con quello previsto per la Lega, e anche, sia pure in misura minore, per il M5S.

Sotto questo profilo, colpisce la parabola dei Verdi, che erano, almeno sulla carta, una delle realtà a cui guardare con attenzione, specie dopo i risultati ottenuti in Germania, e il grande successo della mobilitazione per i Fridays for Future. Eppure, sempre secondo le ultime rilevazioni, le cose non si mettono bene per gli ambientalisti. A una posizione piuttosto bassa nei sondaggi, che non incoraggia il voto dei tanti elettori ancora indecisi per le liste Verdi, si aggiunge l’effetto, difficile da quantificare, ma verosimilmente significativo, dell’incidente provocato dalla presenza nelle liste di due candidati che in passato avrebbero avuto legami con ambienti della destra. La reazione confusa dei dirigenti dei Verdi, e la dissociazione di Possibile - che ora chiede voti solo per i propri candidati - non lascia attendere nulla di buono dal risultato elettorale. D’altro canto, se i Verdi non festeggiano, non si può dire che il Pd, anche se dovesse avere il risultato sperato, o persino un po’ più alto del previsto, possa guardare con serenità al dopo 26 maggio.

Negli ultimi giorni, infatti, si sono riaccese le polemiche relative alla futura collocazione di alcuni dei parlamentari europei eletti in quota Pd. Aderiranno, come previsto, al gruppo S & D, ovvero Socialisti e Democratici, oppure andranno a rafforzare le fila del nuovo raggruppamento centrista che dovrebbe nascere dalla fusione tra i liberali di Alde e la Renaissance macroniana? Articoli apparsi sulla stampa internazionale dopo la dichiarazione di sostegno a Renaissance da parte di Matteo Renzi lasciano intendere che alcuni parlamentari del Pd potrebbero spostarsi, indebolendo ulteriormente il gruppo S & D.

La smentita di Zingaretti, che parla invece di un’alleanza più ampia, dopo il voto, tra progressisti, che dovrebbe includere anche i macroniani, non convince del tutto. Senza ritornare sulle dichiarazioni di Carlo Calenda, poi smentite, che settimane fa aveva ipotizzato una sua adesione al gruppo Liberale di Alde e non a quello dei S & D, rimane il fatto che alcuni dei candidati nelle liste del Pd che potrebbero essere eletti non sono affatto vicini alle posizioni dei socialisti.

Insomma il Pd appare ancora paralizzato da una caparbia determinazione nell’evitare di scegliere tra una prospettiva centrista (incarnata da un Macron idealizzato), e una socialista, che accetti fino in fondo la sfida posta dall’aumento delle diseguaglianze e dalla disaffezione di molti elettori nei confronti dei principi fondamentali delle democrazie liberali. Una caparbietà difficile da spiegare. Come ha scritto di recente Will Hutton, ex direttore dell’Observer, c’è una straordinaria vivacità intellettuale a sinistra, quindi non sono certo le idee che mancano per una forza progressista al passo coi tempi.

Ne abbiamo testimonianza anche nel nostro paese, con iniziative come il Forum Diseguaglianze Diversità animato da Fabrizio Barca e da un gruppo di attivisti e studiosi. Invece di inseguire le destre, i partiti progressisti dovrebbero riprendere, come ha suggerito Cas Mudde, le parole d’ordine di solidarietà e eguaglianza care al socialismo democratico, proponendo nuove soluzioni all’aggravarsi del vecchio problema degli squilibri distributivi generati dal Capitalismo. Ma per far questo, il Pd deve uscire dalla sua ambiguità e decidere finalmente da che parte stare.