In un vecchio libro (presto ripubblicato) ho immaginato di visitare il filosofo. E di scambiare con lui idee sulla storia, la politica e la vita
Mi è venuto in questi giorni tra le mani un mio libro che scrissi nel lontano 1995 cioè esattamente 24 anni fa. Questo libro sarà prossimamente ristampato poiché nelle librerie non si trova quasi più e il mio editore Einaudi desidera invece che sia ancora acquistabile e leggibile.
Questa notizia mi ha fatto piacere e mi ha incoraggiato a rileggerlo e questo ho fatto in questi giorni, il titolo è: “Alla ricerca della morale perduta”. Non mi ricordavo quasi più del suo contenuto ma la ricerca della morale perduta è un tema quanto mai moderno, utile e non facilissimo da trattare: si presta a numerose interpretazioni e infatti nel libro vengono di volta in volta esaminate. L’inizio è largamente immaginario: il personaggio mitologico delle favole medievali Pantagruel e i suoi amici, viaggiando per il mondo per occupare gradevolmente il proprio tempo capitano in una zona denominata “Mar Glaciale”. Loro quel terribile freddo non lo sentono ma gli capita un altro fenomeno: le parole che pronunciano diventano ghiaccioli nel cielo e non possono più essere pronunciate. Inutile dire che quelle parole sono fondamentali per la vita d’ogni giorno e i nostri eroi e tutta la popolazione dell’emisfero non possono più usarle. Pantagruel e i suoi amici tornano in zone di clima temperato e lì fanno in modo di recuperare le parole di ghiaccio, scioglierle e renderle nuovamente pronunciabili.
Questo è l’inizio del libro ma c’è un semi-finale in qualche modo analogo: le persone non possono più camminare sulla terra o viaggiare con mezzi propri e con proprie direzioni: al loro posto camminano le strade, tutte le strade per varie direzioni incognite, ma se ti vuoi muovere devi salire sulla strada che ti sta passando davanti e che ti porterà non sai dove. Se non ti piace il posto dove la strada ti porta troverai altre strade che si muovono in tutte le direzioni ma tu ne puoi prendere una alla volta sperando che il luogo dove ti portano sia di tuo gradimento. Naturalmente questa situazione prevede un universo con molti punti gradevoli e altri sgradevoli, utili o inutili: è la sorte che decide e non tu.
Queste sono le avventure di Pantagruel e dei suoi amici che segnano l’inizio e la fine del libro. Nel mezzo c’è un contenuto del tutto diverso che comincia con una mia visita da giornalista al signor Voltaire nella sua residenza di Ferney prossima al confine tra la Francia e la Svizzera.
La visita dura alcuni giorni e il rapporto tra me e Voltaire diventa rapidamente molto cordiale anche perché offre al Maestro la possibilità di fare una chiacchierata con un uomo che vive in un’epoca di oltre duecento anni più avanti della sua e quindi il loro incontro potrà essere per entrambi di notevole importanza e divertimento. Ne sono convinti entrambi e comincia un periodo di cinque giorni dove parlano di tutto e di tutti.
Voi avete scritto innumerevoli volte che i vizi e le virtù sono concetti relativi: ciò che oggi è considerato un vizio non lo era ieri e forse non lo sarà domani e lo stesso vale perle virtù.
«L’ho scritto e lo penso. L’esperienza lo conferma. Del resto la morale ha un nesso con la morte ed io penso che il modo di affrontare quell’appuntamento finale sia cercar di superare la propria finitezza. Io del resto non ho fatto altro per tutta la vita e a un certo punto mi sono reso conto che stava per terminare. A 84 anni e vomitando sangue ogni giorno sarebbe stato difficile non accorgersene».
E che cosa avete provato?
«Il disperato bisogno che il più gran numero di persone si ricordasse di me per il più lungo tempo possibile. Dico meglio: che la storia si ricordasse di me, che nella storia io avessi un posto il più rilevante possibile».
A questo punto gli chiesi cosa c’entrasse la morale con tutto questo che mi aveva detto e così rispose: «Gentile amico (permettetemi di chiamarvi così) ci vuole una vita intera spesa per quello scopo. Di solito ci si entra producendo opere. Opere, capite? Che restino dopo di voi: opere che restino, poesia, arte, politica, scienza, azioni che la gente ricordi per la loro grandezza e infinità. Opere comunque destinate ad altri e normalmente al bene per gli altri o perlomeno a quello che l’autore di quelle opere suppone tale. Ebbene, amico mio, questa è la morale. Il suo nesso con la morte è evidente».
La conversazione durò a lungo ma poi a un certo punto un servitore comparve per avvertirci che la mia stanza da letto era pronta. Qualche cosa nel frattempo avevamo anche mangiato o perlomeno avevo mangiato io, Lui mi guardava con soddisfazione, e quindi andai a dormire dopo un intero giorno di viaggio da Parigi e Ferney.
Naturalmente il giorno dopo riprendemmo e la conversazione andò sempre più nel profondo. La mia domanda a Voltaire fu se pensava che i filosofi della sua epoca avessero avuto un ruolo rilevante nella storia delle idee e quindi sull’evoluzione della Francia e dell’Europa.
«Alcuni di noi questa funzione la ebbero».
Vuole dirmi chi erano?
«Montesquieu che sapeva di diritto, Rousseau che sapeva di musica, Buffon, d’Alembert e Condorcet che sapevano di scienza. Io non sapevo niente di niente salvo che di poesia e di teatro. Sapete che cosa eravamo veramente? I primi veri creatori dell’opinione pubblica. Ne siamo stati i portavoce e i padroni e al tempo stesso i servitori. Vedo che nel vostro mondo di oggi tutto è condizionato dall’opinione pubblica. Ebbene l’inizio di questo fenomeno comincia da noi. Che poi sia stato un fatto positivo non so però quello che so è d’essere stato sepolto al Pantheon».
Eravate all’opposizione rispetto al potere costituito?
«La domanda è difficile. A giudicare da quel che accadde dopo si potrebbe rispondere sì, ma allora, mentre scrivevamo, parlavamo, pensavamo, la situazione era molto diversa. Io ero amico della signora di Pompadour ed anche del maresciallo di Richelieu, della famiglia d’Orléans, della duchessa di Maine. Del resto non dimenticate che ero membro dell’Accademia, ma non fui il solo: d’Alembert ebbe rapporti analoghi e così anche Turgot che fu addirittura primo ministro».
Insomma davate colpi di piccone al potere con il consenso del potere.
«Più o meno è quello che accadde».
La chiacchierata andò ancora più a lungo e alla fine della giornata lo salutai. Il suo saluto fu molto amichevole: «Addio mio caro. Semmai vi capitasse ancora, conoscete la strada».
Per esplorare ancor meglio la storia di Francia e le sue ripercussioni sull’intera Europa e su di noi decisi di approfondire la conoscenza di Pascal. Gli altri nomi importanti li conoscevo tutti da un pezzo, li avevo letti e avevo meditato sui loro pensieri, a cominciare da quello di Montaigne. Ce ne sono naturalmente molti altri: Charron, la signorina de Gournay, Fontenelle, La Bruyère, La Fontaine, Madame de Sévigné, Molière e vari altri. Naturalmente l’intera epoca era cominciata con Descartes e il suo “Cogito, ergo sum” che aveva dato il tono all’epoca intera e anche alle successive creando filosoficamente la figura fondamentale dell’Io. Quello che conoscevo meno di tutti era Pascal e quindi me lo sono studiato. Morì molto giovane a 39 anni perché era malato da molto tempo e apparentemente passò per un mistico ma fu molto di più. Cristo era il suo amico e il suo Dio ma spesso i pensieri dubitavano del suo credo religioso; esplicitamente non lo diceva ma tra le righe il suo dubbio esisteva, sia pure attribuito a chi avesse una fede in certi momenti della vita oscillante. Alla fine morì con un povero accanto al suo letto, anch’esso moribondo: quando arrivò un prete col Sacramento il morente trovò ancora la forza di alzarsi sul letto e riceverlo e morì sottratto alla paurosa visione di quel baratro sul quale per tutta la vita si era sentito sospeso.
A questo punto il mio libro è quasi finito ma per mettere in pari con le caste dei nobili e dei ricchi ho dedicato ad essi il finale. Naturalmente facendo finta di chiudere il libro in loro favore. Ve ne darò qui qualche breve ma significativa citazione.
«Il crollo dei valori, sì, Eccellenze, questo è il tema sul quale intratterrò le Vostre Signorie. L’argomento che toccheremo vi riguarda direttamente perché voi avete la responsabilità di guidare la società e lo Stato.
I valori sono di grande ausilio all’opera vostra, senza di essi sarebbe molto più difficile governare gli uomini e avviarli verso ideali positivi. Voi sentite che gli strumenti con i quali per tanto tempo avete comunicato i vostri comandi ricevendo buone risposte dai cittadini, sentite ora che stanno sorgendo numerose difficoltà. Si parla di un crollo dei valori e la difficile governabilità dei popoli a voi affidati. Infine voi siete paurosi che la vostra funzione direttiva stia per concludersi in una società automatizzata, affidata alle macchine e non più ai valori dei quali voi siete stati finora i custodi. Ma io non credo che queste paure siano reali: Voi, Eccellenze, siete più necessari di prima; voi siete indispensabili. Voi avete inventato la nuova prassi e avete sostituito l’acciaio con la plastica non soltanto nell’industria ma nei caratteri. In nome della libertà avete subordinato al principio costi-benefici ogni altra considerazione. Perciò, Eccellenze, potete stare tranquilli: una società fondata su valori di plastica è talmente flessibile da poter sostenere ogni urto. Certo i valori ci vogliono. Non per voi, Eccellenze, che ve ne siete da tempo sbarazzati, ma per la felicità dei vostri amministrati.
Il vero e unico valore socialmente apprezzabile è la tolleranza, della quale mai come ora abbiamo tutti assoluto bisogno, ricordo alle Vostre Signorie che essa si rafforza quando sia appaiata con una robusta dose di ipocrisia sociale.
Mi auguro, onorevoli Signori, che il mio dire possa esservi stato di qualche utilità».
Così si chiude il mio libro. Spero sia al più presto ristampato perché lo considero estremamente attuale.