Lo ha stabilito la Corte dei Conti: l'occupazione abusiva dello stabile a Roma da parte dei neofascisti di Gialuca Iannone ha causato un'ingente perdita erariale. «Un caso di gravissima negligenza e scarsissima cura dell’amministrazione pubblica»
Non c’è «nessuna emergenza abitativa» nell’edificio pubblico occupato da Casapound in via Napoleone III a Roma. La procura regionale del Lazio della Corte dei Conti, guidata da Andrea Lupi, non ha dubbi: la vicenda dell’edificio di sei piani di proprietà dello Stato occupato abusivamente da 15 anni dal movimento politico presieduto da Gianluca Iannone, che l’ha trasformato nella sua sede, è prima di tutto un caso di «gravissima negligenza e scarsissima cura (
mala gestio)» dell’amministrazione pubblica, che ha causato alle casse dello Stato un danno di oltre 4,6 milioni di euro. Cifra ora contestata con un invito a dedurre a nove alti dirigenti del Miur e dell’Agenzia del demanio, gli enti responsabili del bene.
«Non è tollerabile in uno Stato di diritto una sorta di “espropriazione al contrario”, che ha finito per sottrarre per oltre tre lustri un immobile di ben sei piani, sede storica di uffici pubblici, al patrimonio indisponibile dello Stato, causando in tal modo un danno certo e cospicuo all’erario», si legge nell’atto firmato dal vice procuratore della Corte dei conti, Massimiliano Minerva, e notificato nelle scorse ore dalla Guardia di finanza ai dirigenti del ministero dell’Istruzione e del Demanio che si sono succeduti negli anni mentre proseguiva l’occupazione abusiva. Il fascicolo della Corte dei Conti è stato aperto in seguito all’inchiesta dell’
Espresso Grand Hotel Casapound, pubblicata il 25 febbraio 2018, in cui si ricostruiva per la prima volta la decennale occupazione nel cuore di Roma, dove hanno stabilito la residenza o il domicilio anche alcuni leader del movimento neofascista.
NESSUNO SGOMBERO: «MEGLIO EVITARE SCONTRI»La vicenda inizia alla fine del 2003, quando il gruppo di estrema destra forza la serratura dell’edificio di via Napoleone III di proprietà del Demanio ed in uso al ministero dell’Istruzione e dell’Università. Già pochi mesi dopo l’occupazione, il dossier arriva sul tavolo della Prefettura di Roma: «L’8 maggio 2004 la Prefettura di Roma ha invitato il Miur a presenziare al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica - si legge nell’invito a dedurre della procura regionale della Corte dei conti - fissato per il giorno 13 maggio 2004» per discutere lo sgombero del palazzo; seguiranno, fino al 28 febbraio 2007, altre cinque riunioni del medesimo Comitato provinciale. Ma nulla accade. Uno dei timori delle autorità, scrivono i magistrati contabili, era quello di «scongiurare presunte reazioni violente da parte degli occupanti». Meglio evitare scontri, in altre parole. Una spiegazione inaccettabile, per la Corte dei conti, anche sulla base di recenti pronunce della Cassazione per cui «significherebbe che per ragioni di ordine pubblico si può tollerare la violazione dell’ordine pubblico».
NESSUNA EMERGENZA ABITATIVA Nei tavoli istituti negli anni scorsi presso la Prefettura un altro argomento sollevato, che ha permesso di rinviare
sine die lo sgombero, era la presunta presenza di famiglie di basso reddito, in “emergenza abitativa”. La verifica chiesta alla Guardia di finanza dalla procura contabile dipinge una situazione ben diversa: «Dal semplice incrocio dei dati anagrafici dei residenti nell’immobile in questione con le banche dati finanziarie - si legge nel documento della procura contabile - è emerso che le condizioni reddituali che caratterizzano gli occupanti abusivi dell’edificio di proprietà pubblica, lungi dal presentare le connotazioni tipiche dell’emarginazione economica o sociale, non consentono di annoverare gli occupanti tra le famiglie in stato di emergenza abitativa: si tratta di soggetti economicamente autosufficienti, che dichiarano redditi imponibili ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche: dipendenti di società private, della Cotral spa, di società a partecipazione pubblica (Zetema Progetto Cultura srl), del Policlinico Gemelli, o, addirittura, in un caso, del comune di Roma». Una ricostruzione che smentisce anche quanto ha sempre affermato Casapound.
Dal 2008, per circa dieci anni, nulla accade. Solo alla fine del 2017 l’Agenzia del Demanio ha chiesto alla Prefettura e ai Carabinieri di piazza Dante - competenti per l’area di via Napoleone III - un aggiornamento «sulle attività di liberazione del bene». Nessuna risposta è mai arrivata.
IL PROCESSO PENALE: TUTTI ASSOLTI, NESSUNO FA APPELLODal punto di vista giudiziario la vicenda ha contorni grotteschi. Subito dopo l'occupazione un funzionario del Miur presenta un esposto querela, per il danneggiamento del portone e l’occupazione abusiva dello stabile. Dopo tre anni di istruttoria vengono rinviati a giudizio Simone Di Stefano (oggi segretario del movimento), Alessandro Giombini, Paolo Sebastianelli e Antonio Smedile, tutti esponenti di Casapound. Il 2 ottobre del 2007 i quattro vengono assolti, per un difetto di querela: il funzionario del Miur Francesco Gregorace «era sprovvisto di procura» per per presentare la denuncia. Ma per la Corte dei conti quel problema poteva essere risolto. Il reato di occupazione abusiva è infatti permanente e la querela, secondo i magistrati che oggi ricostruiscono l’intera vicenda, poteva essere riproposta. Inoltre il Miur non ha proposto appello alla sentenza del 2007, nonostante fosse stata notificata correttamente all’Istruzione, «nella persona del ministro pro tempore, con invito a presenziare all’udienza del 12 luglio 2006».
Il Miur e il Demanio avrebbero potuto percorrere anche strade per riuscire a rientrare in possesso del palazzo occupato. Ed è questo il cuore della contestazione arrivata alla fine dell’inchiesta della Procura della Corte dei Conti: «Risulta accertato - si legge nell’invito a dedurre - come di fronte all’occupazione da parte di una associazione e di alcune famiglie di un intero stabile nel centro della Capitale, l’Agenzia del Demanio (proprietaria) e il Miur (titolare dell’uso governativo) non abbiano adottato le iniziative amministrative in autotutela o le azioni giudiziarie del caso, tollerando l’illegittima ed abusiva occupazione e causando con ciò notevoli danni alle pubbliche finanze». I funzionari avrebbero potuto richiedere «l’indennità di occupazione abusiva (danno figurativo parametrato ai canoni di locazione)» o adottare «immediatamente le iniziative amministrative (ordinanza ex art. 823, co. 2, c.c.) o giudiziarie di tipo civilistico e/o penalistico per riottenere, anche in via di urgenza (ex art. 700 cpc), la disponibilità dell’immobile e per conseguire il risarcimento dei danni». Azioni che per i magistrati contabili non sono mai avvenute. Un’inerzia che ora potrebbe costare ai dirigenti pubblici più di 4,6 milioni di euro.