Mezzo secolo dopo lo sbarco, si riapre la corsa alle imprese astronautiche. E quello che le generazioni del secolo scorso avevano solo potuto immaginare, potrebbe diventare realtà (Foto di Alessandro Cosmelli)
Con tutti i soldi che stiamo spendendo, la Nasa NON dovrebbe parlare di andare sulla Luna. Lo abbiamo già fatto 50 anni fa! Dovrebbero concentrarsi sulle cose molto più grandi che stiamo facendo, incluso Marte (di cui la Luna è una parte). Difesa e Scienza!... Erano le 7 e 38 di sera del 7 giugno scorso sulla East Coast e il tweet di Donald Trump è piombato su Cape Canaveral come un fulmine a ciel sereno, lasciando increduli scienziati e ingegneri impegnati a tempo pieno nel programma Artemis, l’ambizioso progetto spaziale che riporterà gli uomini (e per la prima volta anche le donne) sulla Luna.
Nel giro di pochi minuti le linee telefoniche tra la famosa base per i lanci spaziali in Florida, il quartier generale della Nasa a Washington e il centro spaziale di Houston sono diventate roventi mentre su Twitter (128mila like per il presidente) e altri social network si scatenava una vera e propria battaglia tra “Luna sì!” e “Luna no!”, con il solito corredo di insulti, di balle (spaziali) e non poca ironia sulle conoscenze scientifiche di The Donald («la Luna parte di Marte?»). Come spesso accade con i “cinguettii” a caldo del presidente degli Stati Uniti, quel «la Nasa NON dovrebbe andare sulla Luna» in pochi giorni è diventato il suo contrario (sulla Luna il prima possibile) grazie agli sforzi combinati della Nasa e della Casa Bianca.
Sono passati cinquant’anni esatti da quel 21 luglio 1969 e da quel famoso «un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità» con cui il comandante dell’Apollo 11 Neil Armstrong annunciò a un mondo ancora incredulo che stava passeggiando sulla crosta lunare, ne sono passati quarantasette da quando il 13 dicembre 1972 Eugene Cernan e Harrison Schmitt fecero l’ultima passeggiata e - complice anche il grande anniversario, mezzo secolo esatto - il nostro satellite naturale torna a far discutere tra il serio (nuove tecnologie, analisi costi e benefici) e il ridicolo (ritorno in grande stile, dati i tempi, delle più svariate teorie del complotto «nessun uomo è mai stato sulla Luna»).
I Launch Complexes 17&18 della Cape Canaveral Air Force Station - pochi centinaia di metri dal Kennedy Space Center, dove migliaia di turisti rivivono ogni giorno l’ebbrezza della corsa allo spazio - sono il cuore della rinnovata missione lunare. È qui che ha sede il Moon Express, la società (privata) nata da una collaborazione di aziende della Silicon Valley che insieme alla Nasa, ad altre grandi aziende e ad una partnership con l’Agenzia Spaziale Europea gestirà nel prossimo decennio il ritorno degli umani sulla Luna, da qui partirà la missione che il prossimo anno porterà la navicella spaziale Lunar MX-2 ad esplorare il “Peak of Eternal Light” in quel Polo Sud della Luna ad oggi ancora completamente sconosciuto.
«Il tweet del presidente non cambia nulla», spiegano gli scienziati di Moon Express, ricordando come sia stato lo stesso “Commander in Chief” degli Stati Uniti a dare il via libera definitivo (solo tre mesi prima) per anticipare il ritorno dell’uomo sulla Luna addirittura di qualche anno, dal 2028 (previsto inizialmente) al 2024. Un annuncio ufficiale fatto per bocca del vicepresidente Usa, Mike Pence, in un discorso ad Huntsville, Alabama, la città dove venne costruito il razzo che fece volare gli astronauti dell’Apollo 11 verso la Luna. «Con la direzione del presidente degli Stati Uniti, è politica dichiarata di questa amministrazione e degli Stati Uniti d’America di riportare gli astronauti americani sulla luna entro i prossimi cinque anni. Costruiremo una base permanente sulla Luna che un giorno ci aiuterà a compiere una missione su Marte». E anche il contestato nuovo amministratore della Nasa Jim Bridenstine - deputato repubblicano e primo politico a capo dell’Agenzia Spaziale statunitense - le cui conoscenze scientifiche (ad esempio ritiene il climate change un’invenzione) sono state oggetto di vibrate proteste da parte di esperti e scienziati, ha dovuto correggere il tweet del presidente, rilanciandolo con un «torneremo sulla Luna ma lo faremo in modo diverso rispetto agli anni Sessanta».
Prima la Luna, poi Marte. La missione sul Pianeta Rosso è ovviamente più suggestiva e chi ha potuto vivere le emozioni di quel luglio 1969 ricorda come tutto allora sembrava possibile in poco tempo. Se la Nasa era riuscita a portare l’uomo sulla Luna nel giro di soli sette anni - il famoso discorso di John F. Kennedy («We choose to go to the Moon») alla Rice University di Houston, Texas, è del 12 settembre 1962 - per andare su Marte sarebbe occorso più tempo, magari venti, trenta, o quaranta anni, ma alla fine l’uomo lo avrebbe conquistato. Come si sa, le cose non sono affatto andate così. Quando il programma Apollo ebbe termine, la Nasa rivolse sì la sua attenzione verso altre parti del cosmo, costruendo stazioni spaziali e navette, progettando potenti cannocchiali, inviando navicelle e macchine spaziali a sorvolare i pianeti e le stelle più lontane, atterrando su Marte ed esplorandolo, ma la conquista di Marte è rimandata a non prima del 2035-2040. Nessuno in questo mezzo secolo si era più occupato della Luna e per decenni quella che è la compagna spaziale più vicina alla Terra è stata in qualche modo la più lontana.
Tutto è cambiato dieci anni fa grazie ad un nuovo e insperato impulso, poco pubblicizzato dai media e poco conosciuto dalla maggioranza dell’opinione pubblica. Nella rinnovata corsa allo spazio il 2009 diventa una data fondamentale perché fu allora che venne scoperta la presenza di grandi quantità di acqua sulla Luna. Acqua (H2O) che non solo è necessaria per la vita ma che grazie alle sue due componenti (idrogeno e ossigeno) può essere utilizzata per creare combustibile per i razzi. La scoperta dell’acqua sulla Luna è stato un punto di svolta, non solo per una evidente redditività economica delle risorse lunari, ma anche per ridurre i mostruosi costi economici per raggiungere in futuro Marte e altre destinazioni dello spazio. Grazie all’acqua, sorta di petrolio del sistema solare, la Luna si avvia a diventare una stazione di servizio nel cielo.
La vera svolta è stato però l’ingresso dei privati nella corsa allo spazio. Dalla Vision di Elon Musk, con cui il patron della Tesla ha concepito la sua idea di colonizzazione di Marte allo Space Launch System la cui costruzione (per conto della Nasa) è stata affidata a un consorzio privato guidato dalla Boeing, dalla navicella Orion (per gli astronauti in viaggio verso la Luna) costruita dalla Lockheed Martin, dalla Blue Origin del proprietario di Amazon Jeff Bezos alle decine di aziende della Silicon Valley (e non solo) coinvolte, dalla collaborazione (a volte complicata) tra Nasa e agenzie spaziali russe e cinesi, da quella (più semplice) con l’Esa europea, la più grande alleanza mondiale di potenze politiche, economiche e scientifiche si appresta a riconquistare lo spazio. Prima fondamentale tappa la costruzione della stazione lunare orbitante Gateway (un mese fa è stata selezionata la prima azienda, Maxar Technologies, che costruirà il modulo che fornirà energia alla stazione lunare), cui seguirà il lancio della navicella Orion.
La Luna potrebbe veramente diventare per le donne - «è probabile che la prossima persona a sbarcare sulla Luna sarà una donna», ha promesso Bridenstine - e gli uomini del XXI secolo il “Nuovo Mondo”, una terra sterminata grande più o meno come Nord e Sud America messi insieme. Se 50 anni fa (e ancora negli ultimi anni) lo spazio era appannaggio esclusivo di Stati Uniti ed altre superpotenze (Russia, Cina, in misura minore Europa) le nuove tecnologie e le scoperte più avanzate oggi in mano all’industria privata, avvicinano sempre di più l’uomo (e la donna) comune alla Luna. Anche le previsioni più serie concordano oggi sul fatto che quello che le generazioni del secolo scorso avevano solo potuto immaginare, potrebbe diventare realtà nel giro di un paio di decenni: quando molti di coloro che sono oggi bambini o adolescenti saranno in grado di diventare gli esploratori dell’Ottavo Continente, alla ricerca di nuove conoscenze e nuove avventure.